La pazzia testuale di Palazzo Chigi

Il 7 ottobre 2020 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge n. 125 «Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuita’ operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020». In poche parole, è stata prorogata «la dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19» ed è stato stabilito l’obbligo di indossare la mascherina anche quando ci si trova all’aperto, con poche eccezioni.

domaniQuesto è quello che diffondono i giornali (per esempio, «Domani» spiega, nel sottotitolo, «il governo decide per l’obbligo di mascherina all’aperto») e quello che dichiara la stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri nel suo comunicato stampa. Insomma, la volontà del legislatore (che, in questo caso, è in realtà rappresentato dal potere escutivo, dal momento che l’urgenza ha richiesto l’emanazione di un decreto-legge) è questa: bisogna usare sempre le mascherine all’aperto. Credo che questo schemino dell’agenzia ANSA rappresenti bene l’intenzione del legislatore:

decreto covidMa chi ha tradotto questa volontà politica in un testo normativo ha scelto una strada davvero tortuosa. Innanzi tutto, l’art. 1 del decreto-Legge stabilisce alcune integrazioni all’art. 1 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2020, n. 35. In particolare:

art1-comma1-letterabIn questo articolo viene solo prevista la possibilità da parte di qualcuno di sancire l’obbligatorietà della mascherina, ma non l’obbligo.  Già questa formulazione, che prevede la possibilità di un obbligo, ma non lo dispone, è espressione di quel mondo fantasioso che è il paese legale. Se poi si va a vedere il decreto legge (convertito in legge) che è modificato dal decreto del 7 ottobre, il contesto testuale si intorbida ancora di più. L’art. 1, comma 2 del  decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, quello che il decreto del 7 ottobre 2020 integra, dice:

d-l-19Insomma, il funambolo della lingua che ha scritto il decreto del 7 ottobre è riuscito nel portento di scrivere una questa frase: «può essere adottata questa misura: obbligo di avere sempre con sé dispositivi di protezione delle vie respiratorie, con possibilità di prevederne l’obbligatorietà dell’utilizzo nei luoghi al chiuso eccetera». Insomma la legge dispone che qualcuno (non specificato) può potere prevedere l’obbligatorietà delle mascherine. Di solito si fa riferimento all’analfabetismo funzionale pensando all’incapacità di comprendere i testi altrui; qui siamo, invece, in pieno analfabetismo funzionale attivo.

Ma non è finità qui. Il decreto-legge n. 125 ha poi un articolo 5 che, sotto il titolo trasparentissimo Ultrattività del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 settembre 2020 prevede, in una frase di 182 (cenoottantadue) parole che, nel rispetto del decreto-legge n. 19 del 2020, come è stato modificato alcune righe sopra nello stesso decreto del 7 ottobre, si applica l’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private eccetera eccetera. Non ci credete? Ecco l’articolo (tempo stimabile di lettura: tre ore e mezza):

art 5Neppure un provetto giocoliere riuscirebbe a fare con i birilli quello che gli estensori di questo decreto sono riusciti a fare con questo testo.

Ma il decreto-legge n. 125 non è criticabile solo per la sua scrittura, davvero immonda. È criticabile anche sul piano politico-giuridico. Ha scritto la giurista Vitalba Azzollini su «Domani»:

A parte la non chiara formulazione – tra facoltà del presidente del Consiglio e obbligo dei cittadini – la norma sulle mascherine presenta alcune criticità: sin d’ora vanno sempre portate appresso e indossate «nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto a eccezione dei casi in cui (…) sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi».
Chi potrà assicurare «in modo continuativo» che non si imbatterà in nessun altro, anche se cammina in uno spazio apparentemente deserto? Nessuno, com’è ovvio. Ma lo si è scritto lo stesso, e questo è un modo sconsiderato di legiferare: si pone un obbligo (mascherine) e al contempo si offre un alibi poco plausibile per derogarvi (condizione di isolamento), così che coloro i quali (forze dell’ordine) dovranno far rispettare la misura potranno esercitare la discrezionalità più ampia, spaziando tra regola ed eccezioni.
Questa è la matassa sbrogliata, tirando le fila, eppure si potrebbe dire che essa ora appare più ingarbugliata.
Se è vero che l’ignoranza della legge non è una scusante, quali scusanti ha un governo nel creare una situazione normativa che, se è difficile da dipanare per un giurista, sicuramente non è facile da comprendere per tutti gli altri? Il garbuglio sopra districato può forse definirsi certezza del diritto?

zampaSandra Zampa, sottosegretaria alla Salute, il 6 ottobre a «Radio anch’io’ su Rai Radio 1, ha spiegato: «serve un comportamento uniforme in tutto il Paese e un messaggio semplice». E si è sentita in obbligo di precisare: «non siamo diventati pazzi».

Ma se non sono pazzi, cosa sono i redattori di questo decreto-legge? E non sono, o sono diventati, pazzi i componenti del governo che hanno approvato un testo costruito così demenzialmente? E, lo dico con grande amarezza, mi spiace davvero che il Presidente della Repubblica controfirmi testi scritti in questa maniera così irrispettosa dei diritti dei cittadini a comprendere le norme che li riguardano.

Ancora una volta occorre richiamare quanto ha scritto Sabino Cassese nell’il titolo all’articolo pubblicato sul «Corriere della sera» di 24 marzo 2020, con il titolo Il dovere di essere chiari. Cassese conclude il suo articolo con l’apostrofe che i cittadini avrebbero il diritto di lanciare a coloro che scrivono e a quelli che firmano decreti, ordinanze e leggi: «siate chiari, almeno questo possiamo chiederlo». E commenta: «è il “minimo sindacale” che me ne fregoil popolo può aspettarsi dall’”avvocato del popolo”». Ma a Palazzo Chigi, dove si trova ora colui che promise di essere l’«avvocato del popolo», deve essere affisso, in tutti gli uffici, un motto, per ricordare a tutti, funzionari e politici, quale atteggiamento tenere di fronte al diritto dei cittadini di vedersi regolare la vita con norme chiare e facilmente leggibili: «Me ne frego».

 

La pazzia testuale di Palazzo Chigiultima modifica: 2020-10-12T07:30:20+02:00da cortmic
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