Coronavirus: il dovere di essere chiari

Rubo il titolo all’articolo che Sabino Cassese ha pubblicato sul «Corriere della sera» di oggi, 24 marzo 2020.

casseseCassese dice una cosa importante, in modo chiaro e semplice: «Non si comprende, invece, perché i nostri governanti continuino a scrivere proclami così oscuri. L’ultimo decreto del presidente del Consiglio dei ministri, annunciato in televisione la sera del 21 marzo, firmato la sera successiva ed entrato in vigore il giorno dopo, contiene, nella parte dispositiva, 864 parole e ben dieci rinvii ad altri decreti, leggi, ordinanze, codici, protocolli. A Palazzo Chigi pensano che tutti gli italiani siano dotati di una raccolta normativa completa, incluse le ordinanze?».

Il taglio rozzamente burocratico con cui sono stati scritti i decreti dell’emergenza si riflette inevitabilmente, con qualche amplificazione, nella redazione dei modelli per l’autodichiarazione che sono stati diffusi già in quattro versioni nel corso degli ulrimi quindici giorni. Con reazioni che non sono mancate nei social, come mostra la raccolta esemplificativa di meme che riporto qui di seguito:

meme

rimeme

È inevitabile che, con il cambiare delle norme, cambino anche le dichiarazioni che devono essere firmate (o dovrei dire sottoscritte?) dai cittadini che hanno necessità di uscire di casa. Ma questo continuo cambiamento irrita i cittadini, che stanno vivendo, tutti, un momento difficile.

I funzionari del Ministero dell’interno ci hanno messo una bella dose di dabbenaggine linguistica. Se, come dice Sabino Cassese, in generale in questo momento c’è il dovere di essere chiari, ancora più chiari si dovrebbe essere nella redazione di testi che devono essere fatti propri non dai funzionari pubblici, ma dai singoli cittadini che li firmano come propria dichiarazione. E, invece, proprio non ci siamo. O forse ci siamo, nel senso che i funzionari del Viminale continuano ed estendono quella mancanza di chiarezza che caratterizza i decreti del Presidente del consiglio. Anche su questo ho trovato chiare denunce sui social:

recando

Ho discusso telematicamente del modello di dichiarazione con le studentesse e gli studenti del corso di Metodi linguistici di analisi dei testi, che quest’anno si occupa proprio del linguaggio amministrativo. A partire dalle loro osservazioni, ho preparato una redazione più nitida, a cominciare dalla forma grafica, che attualmente abbonda di grassetti, corsivi, sottolineature, maiuscole variamente e fantasiosamente abbinate.

prima_autodichiarazioneLa pubblicherò, assieme a un’analisi dettagliata, in uno dei prossimi giorni (sì, avete capito, ho imparato dal Presidente del Consiglio: prima annuncio, e poi scrivo la versione definitiva. Ma c’è anche una ragione di cortesia: prima di pubblicare analisi e riscrittura voglio inviarla, con rispetto, alla ministra Lamorgese).

Però, alcune cose si possono anticipare, sulla base delle segnalazioni apparse nei social. La prima riguarda l’assoluto disinteresse da parte di chi ha redatto questo testo per la parità di genere.

genere lingua e politiche linguisticheCon un particolare assolutamente ridicolo: nella terza versione (del 17 marzo) citata nello scambio di post che ho appena riportato, ma non nelle altre versioni, uno sdoppiamento di genere c’è, ma non in riferimento alle persone, bensì in riferimento ai documenti di riconoscimento (immagino per garantire il rispetto dell’accordo da una parte con carta d’identità e patente, dall’altra con passaporto o porto d’armi:

rilasciatoL’altra questione riguarda il motivo che ha spinto il Ministero dell’interno a diffondere il 17 marzo una nuova versione dell’autodichiarazione, in assenza di mutamenti normativi intervenuti nel frattempo. La versione diffusa fino ad allora aveva tralasciato di prendere in considerazione il divieto assoluto di mobilità dalla propria abitazione per le persone sottoposte a quarantena e per quelle risultate positive al virus (come previsto dall’articolo 1, comma 1, lettera c, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8 marzo 2020). Quest’ultima categoria, che comprende le persone che, sottoposte al test, sono risultate positive, non è una categoria facilmente comunicabile, dal momento che la distinzione che viene alla mente immediatamente alla maggior parte dei destinatari è quella tra contagiati e non contagiati. Nei social sono emerse perplessità, dubbi, irritazioni a questo proposito, poiché molti credevano di dover dichiarare di non essere positivi al virus (il che sarebbe dichiarabile solo in seguito a un monitoraggio sistematico di tutta la popolazione). I fraintendimenti, a volte anche caparbi, sono stati numerosissimi:

risultato_positivoDi fronte alla non immediata comprensibilità della nozione, in sé non intuitiva, gli estensori del decreto ci hanno aggiunto, anche in questo caso, una certa dose di ridicolo, quando hanno scritto «di non essere risultato positivo al virus COVID-19 di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’ 8 marzo 2020». Non esiste un corretto antecedente del relativo di cui, a meno che di non intendere pedissequamente che di cui si riferisca all’elemento nominale immediatamente precedente, cioè il virus COVID-19 (ma in realtà nel comma a cui la dichiarazione rinvia, il virus viene richiamato in maniera del tutto generica; il riferimento nel modello di dichiarazione, da quel che mi pare di capire, è fatto in modo generico e improprio al contenuto complessivo della lettera c dell’art. 1, comma 1 del decreto).

Nel prossimo post fornirò un’analisi dettagliata dei numerosi punti critici della dichiarazione, scritta veramente male, come è inequivocabilmente dimostrato dalle reazioni che ho esemplificato, e successivamente proporrò una versione migliorativa (che sarà certamente a sua volta migliorabile). So benissimo che i problemi più urgenti sono di natura sanitaria, in un momento in cui i morti ammontano ad alcune migliaia. Ma prego i commentatori di non fare professioni di benaltrismo. La vita è certamente più importante della lingua; ma una corretta comunicazione, che implica anche un corretto e chiaro uso della lingua, è un elemento imprescindibile nella gestione di una emergenza sanitaria. In questo campo, che, lo riconosco, è certamente insidioso e difficile, il bilancio non è per nulla positivo, come in gran parte della storia delle comunicazioni istituzionali delle amministrazioni pubbliche italiane.

Postilla

La saga delle cinque versioni dell’autodichiarazione, che si sono succedute in una ventina di giorni, ha sollecitato l’ironia e la creatività degli utenti della rete. Ecco un’antologia di reazioni che sono riuscito a raccogliere qua e là nei social network. Cominciamo da una serie di battute spiritose, più o meno icastiche:

motti_autodichiarazioneo dai meme:

meme_autodichiarazioneE poi, le finte copertine o le parodie del testo:

parodie_autodichiarazionecopertine_autodichiarazioneE, infine, i commenti:

commenti_autodichiarazione

Coronavirus: il dovere di essere chiariultima modifica: 2020-03-24T19:49:53+01:00da cortmic
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