parole

Periodi ipotetici e norma interiorizzata

Le discussioni sulla lingua che si sviluppano nelle reti sociali, a partire da Facebook, offrono un panorama molto interessante di quali sono le idee che i parlanti (quanto meno quelli più avveduti) hanno sulla lingua. Le reti sociali sono la nuova frontiera di queste discussioni, un tempo monopolio dei letterati, poi estese agli intellettuali riconosciuti, infine (prima grazie ai giornali, poi grazie a internet) estese potenzialmente a tutti i parlanti. Sto cercando di classificare i temi sviluppati nelle reti sociali e, soprattutto, i profili di quanti intervengono nelle discussioni sulla lingua. Un primo abbozzo di queste riflessioni l’ho presentato a Fiume, al corso di aggiornamento che aveva come tema «l’Italianistica contemporanea: lingua, comunicazione e cultura italiana» (e, prima, in una lezione al Dipartimento di Scienze Giuridiche, del Linguaggio, dell`Interpretazione e della Traduzione dell’Università di Trieste).

In questa analisi mi ha colpito il peso che nelle discussioni sulla lingua assume la norma interiorizzata (cioè la norma «che è andata stratificandosi non tanto sulla base della propria esperienza di parlante, quanto sull’immagine di lingua che si è formata soprattutto negli anni di scuola», secondo la definizione di Luca Serianni, Prima lezione di grammatica, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 43). Quanti intervengono nelle discussioni, soprattutto quelli più drastici (del tipo «si dice gli e lo … e basta», «Paolo, è una regola grammaticale vecchia come il mondo e si impara alla scuola primaria»), incentrano la loro attenzione soprattutto sulle norme imparate a scuole, anche se non sono sempre corrispondenti all’uso reale della lingua.

Proprio oggi ho avuto una doppia riprova di quanto ho appena scritto, al punto che quanti segnalano errori si concentrano su questioni di norma (che riguardano la scelta tra due costrutti comunque esistenti nella lingua) e si fanno sfuggire costrutti certamente agrammaticali, ma che non sono inclusi nei luoghi comuni che la scuola diffonde a proposito della lingua. Insomma, si incentrano su quelle forme che Renzi ha così ben spiegato nella Presentazione alla Grande grammatica italiana di consultazione (a cura di Lorenzo Renzi, Giampaolo Salvi, Anna Cardinaletti, Bologna, Il Mulino, 2001, vol. 1, pp. 30-31):

«Le forme considerate “scorrette” dalla sensibilità grammaticale di tutti sono forme effettivamente usate, o altrimenti nessuno penserebbe di giudicarle tali. Queste forme, in quanto esistenti, non potevano non venir registrate in questa grammatica, naturalmente in modo ben distinto da quelle agrammaticali […]. Queste ultime sono delle pure costruzioni del ricercatore, fatte a scopo euristico. […] Il grammatico, che sia portato a sovrapporre scorrettezza e agrammaticalità, pensando che la forma sia da evitare perché intrinsecamente agrammaticale, malformata, sbaglierebbe».

Vi presento due casi emblematici che ho incontrato tra ieri e oggi nella pagina Facebook della trasmissione radiofonica «La lingua batte». Come ho già avuto modo di dire in questo blog, si tratta di una pagina nella quale intervengono osservatori attenti della lingua, non sempre caratterizzati da un’idea chiusa e arretrata della lingua italiana.

Il primo esempio riguarda l’italiano usato nella replica, piuttosto polemica, di un commentatore, le cui posizioni non sono condivise dalla maggior parte dei membri:

Come si vede, la frase «Se eravamo negli USA una iniziativa del genere avrebbe mobilitato il giornalismo americano» è prontamente e affabilmente censurata («Se fossimo stati negli USA … non scivoli sulla buccia di banana e non si faccia tirare le orecchie»). Del resto, le ironie e lo scandalo non erano mancati, in tutte le pagine che trattano di lingua, a proposito di questo titolo dell’«Eco di Bergamo»:

Qui non ritornerò sul fatto che si tratta di un costrutto effettivamente e sistematicamente usato anche da illustri scrittori come Alessandro Manzoni («se era in mezzo Milano, chiamavo gente, e mi facevo aiutare a acchiapparlo», «se eravamo destinati a morire, almeno saremmo morti insieme»). Ne ho già scritto in un altro post, circa due anni fa. Quello che  mi preme notare è che nel post su Facebook in cui si trovava il periodo ipotetico con protasi all’imperfetto indicativo, si trovava anche un’iperestensione del congiuntivo: «anche perché al contrario di quanti in questo gruppo giochino a giocare ai finti amici della lingua italiana (autori del programma in questione compresi) io ci metto la pelle». In questa frase il congiuntivo è senz’altro fuori posto, del tutto agrammaticale; eppure nessuno l’aveva notato. Un indicativo al posto del congiuntivo (o del condizionale) stimola immediatamente l’attenzione dei correttori, anche se risponde a un modello ampiamente diffuso, un congiuntivo al posto dell’indicativo no.

Qualcosa di analogo è accaduto nei commenti a questa infelicissima pubblicità della TIM:

La frase potrebbe anche risultare corretta se volesse dire: «cosa faresti tu ora se io tempo fa avessi avuto 2500 € in più al mese?».  Ma l’interpretazione più facile, e più probabile, è che la TIM volesse dire «cosa faresti se ora tu avessi 2500 € in più al mese?». E allora si sono susseguite, a più riprese, le critiche (riporto una parte di commenti, dopo averne tagliato qualcuno non pertinente ai nostri fini; per leggere più nitidamente i commenti, fare click sull’immagine):

Tutti hanno notato, giustamente, e hanno criticato la molto probabile infrazione alla concordanza dei tempi. Ma nessuno ha notato la mancanza del pronome soggetto di seconda persona con il verbo al congiuntivo. La seconda persona del congiuntivo è l’unico caso, in italiano, nel quale è obbligatoria l’espressione del pronome soggetto, come ha notato, ad es., Paola Benincà nel suo contributo sulla Sintassi nel primo volume dell’Introduzione all’italiano contemporaneo (a cura di A. Sobrero, Roma-Bari, Laterza, 1993, p. 259). Se il pronome soggetto non viene espresso, il verbo al congiuntivo tende ad essere interpretato come prima o terza persona.

E difatti, la persona che aveva criticato la concordanza dei tempi riconosce, nel prosieguo della discussione, che «nel caso specifico però quell’avessi potrebbe essere riferito solo alla 1a persona singolare», a riprova che la regola fa parte della competenza linguistica dei parlanti italiani. Però, siccome a scuola gli insegnanti non hanno mai mostrato interesse per questa regola, la sua infrazione sfugge anche ai più attenti fustigatori del malcostume linguistico.

Periodi ipotetici e norma interiorizzataultima modifica: 2015-04-26T21:11:47+02:00da
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