Il 7 ottobre 2020 il Consiglio dei ministri ha approvato il decreto-legge n. 125 «Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19 e per la continuita’ operativa del sistema di allerta COVID, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020». In poche parole, è stata prorogata «la dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica da COVID-19» ed è stato stabilito l’obbligo di indossare la mascherina anche quando ci si trova all’aperto, con poche eccezioni.
Ma non è finità qui. Il decreto-legge n. 125 ha poi un articolo 5 che, sotto il titolo trasparentissimo Ultrattività del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 settembre 2020 prevede, in una frase di 182 (cenoottantadue) parole che, nel rispetto del decreto-legge n. 19 del 2020, come è stato modificato alcune righe sopra nello stesso decreto del 7 ottobre, si applica l’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private eccetera eccetera. Non ci credete? Ecco l’articolo (tempo stimabile di lettura: tre ore e mezza):
Ma il decreto-legge n. 125 non è criticabile solo per la sua scrittura, davvero immonda. È criticabile anche sul piano politico-giuridico. Ha scritto la giurista Vitalba Azzollini su «Domani»:
A parte la non chiara formulazione – tra facoltà del presidente del Consiglio e obbligo dei cittadini – la norma sulle mascherine presenta alcune criticità: sin d’ora vanno sempre portate appresso e indossate «nei luoghi al chiuso diversi dalle abitazioni private e in tutti i luoghi all’aperto a eccezione dei casi in cui (…) sia garantita in modo continuativo la condizione di isolamento rispetto a persone non conviventi».
Chi potrà assicurare «in modo continuativo» che non si imbatterà in nessun altro, anche se cammina in uno spazio apparentemente deserto? Nessuno, com’è ovvio. Ma lo si è scritto lo stesso, e questo è un modo sconsiderato di legiferare: si pone un obbligo (mascherine) e al contempo si offre un alibi poco plausibile per derogarvi (condizione di isolamento), così che coloro i quali (forze dell’ordine) dovranno far rispettare la misura potranno esercitare la discrezionalità più ampia, spaziando tra regola ed eccezioni.
Questa è la matassa sbrogliata, tirando le fila, eppure si potrebbe dire che essa ora appare più ingarbugliata.
Se è vero che l’ignoranza della legge non è una scusante, quali scusanti ha un governo nel creare una situazione normativa che, se è difficile da dipanare per un giurista, sicuramente non è facile da comprendere per tutti gli altri? Il garbuglio sopra districato può forse definirsi certezza del diritto?
Ma se non sono pazzi, cosa sono i redattori di questo decreto-legge? E non sono, o sono diventati, pazzi i componenti del governo che hanno approvato un testo costruito così demenzialmente? E, lo dico con grande amarezza, mi spiace davvero che il Presidente della Repubblica controfirmi testi scritti in questa maniera così irrispettosa dei diritti dei cittadini a comprendere le norme che li riguardano.
Ancora una volta occorre richiamare quanto ha scritto Sabino Cassese nell’il titolo all’articolo pubblicato sul «Corriere della sera» di 24 marzo 2020, con il titolo Il dovere di essere chiari. Cassese conclude il suo articolo con l’apostrofe che i cittadini avrebbero il diritto di lanciare a coloro che scrivono e a quelli che firmano decreti, ordinanze e leggi: «siate chiari, almeno questo possiamo chiederlo». E commenta: «è il “minimo sindacale” che