A conclusione analoghe giunge il meno tempestivo lancio dell’agenzia «Adnkronos» (delle 10.43 del primo dell’anno) intitolato, in maniera analoga, Discorso Mattarella, ‘pace’ la parola più usata, anche questo accompagnato dall’immancabile word cloud:
L’analisi della Adnkronos è un po’ più ampia di quella del «Corriere» (c’è stato tempo per qualche riflessione in più). L’incipit è del tutto simile, anche se più esteso («E’ la parola ‘pace’ quella più usata dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso agli italiani per la fine dell’anno. Mattarella la pronuncia ben 11 volte, nei suoi 17 minuti di intervento, in cui fa ricorso a 1861 termini della nostra lingua. Per il capo dello Stato forte l’uso anche del vocabolo ‘violenza’ che ricorre 9 volte, per 8 volte si sente pronunciare dal Colle la parola ‘guerra’ e ‘guerre’, segue poi la parola ‘libertà’, che figura 7 volte. Sei volte Mattarella usa il termine ‘donna’, il termine ‘vita’ e la parola ‘futuro’». Ma attenzione, non è vero che Mattarella faccia ricorso a 1861«termini», o, più correttamente, parole. Il suo discorso è lungo più o meno 1861 parole, ma utilizza solo 672 vocaboli, perché un certo numero li usa, ovviamente, più volte).
Nel seguito c’è qualche informazione più elaborata, nella quale spicca l’attenzione anche per un verbo e non solo per i nomi («’Diritti’, ‘valori’, ‘dignità’ e ‘solidarietà’, costituiscono poi una famiglia di parole che figura complessivamente 14 volte. Le parole ‘speranza’ e ‘orgoglio’ trovano posto nello speech di Mattarella due volte ciascuno. Infine risalta l’utilizzo del verbo ‘ascoltare’, che ricorre ben 5 volte nel discorso di Mattarella».
La stampa soffre proprio di wordlcoudmania: basta vedere la frequenza con la quale i discorsi delle cariche istituzionali vengono sottoposti a questo mezzo di analisi:
È quello che è successo anche in questa occasione. In realtà, le parole «piene», cioè nomi, aggettivi, verbi, esclusi gli ausiliari, più frequenti nel discorso di Mattarella (fino alla frequenza 5) sono queste:
Per la gioia dei lettori propongo anch’io la mia word cloud:
È evidente che questa distribuzione quantitativa può dar spazio ad analisi più complete, e anche più interessanti, di quelle, pur giuste per quello che hanno visto (ma non per quello che non hanno visto), di giornali e agenzie di stampa.
La frequenza di significare ci indica l’attitudine del Presidente a spiegare e precisare i concetti che usa, in un discorso che è stato anche una bella lezione di educazione civica.
L’alta frequenza di diritto dimostra l’attenzione del Presidente per questo concetto, che è un principio cardine della democrazia: e così parla del diritto alle cure sanitarie per tutti, dei diritti umani che «sono nati prima dello Stato» (e del verbo usato dalla Costituzione quando parla dei diritti), dei diritti che vanno affermati (vi insiste due volte), del diritto allo studio, che significa anche diritto a un alloggio accessibile per gli studenti universitari, di diritto al voto, di diritto di libertà, di diritto al futuro. Questa attenzione ai diritti è un tratto fondamentale del pensiero di Mattarella, che è sfuggito a chi ha scritto l’articolo del «Corriere» e che risulta sottovalutato nel lancio della Adnkronos (il quale, va riconosciuto, cita comunque la parola diritti).
Non mi soffermo sulla frequenza di potere, il quale, come verbo modale, ha uno status che può in qualche modo avvicinarlo ai verbi ausiliari (ma con un più definito contenuto semantico). Notiamo, comunque, che potere occorre più spesso di dovere e di volere (che compare 4 volte).
Per dare un’immagine delle parole «piene» più frequenti, può essere piacevole vedere questa «nuvola», che però non è altro che una rappresentazione grafica della lista già riportata sopra.
Ha fatto meglio «Repubblica» che, senza ricorrere a scorciatoie di analisi automatica, ha titolato così:
Mi permetto di dare una lezione, pedante ma utile a chi si occupa di informazione, di comunicazione, di marketing: i sistemi di analisi testuale automatica piacciono sempre di più e vengono usati con frequenza. Certamente, leggere un testo «da lontano», per mezzo di grafici, tabelle, liste può essere utile, perché ci offre rapidamente un’analisi che con sistemi tradizionali ci richiederebbe molto tempo, perché ci permette di analizzare una quantità molto ampia di testi, perché ci fa vedere modelli e tendenze che a occhio nudo faremmo fatica a vedere. Ma bisogna saper usare le risorse informatiche sempre più facilmente disponibili. Altrimenti, anche gli strumenti più elaborati commettono errori che falsano, in maniera più o meno grave e irrimediabile, l’interpretazione dei testi sottoposti ad analisi.