Ripubblico il mio in questo blog, capitolo per capitolo (con qualche modifica di poco conto), nell’illusione di fare cosa utile a chi sta cercando dati per farsi un’opinione in vista del prossimo referendum sulla riforma costituzionale.
Il blog «Parole» si è già occupato due volte del linguaggio della Costituzione, quella presente e quella futura: una prima volta, nel dicembre 2015, con il post L’Assemblea costituente e il congiuntivo, una seconda volta, il 25 aprile 2016, con il post Maria Elena Boschi non è Concetto Marchesi.
Cominciamo oggi con i primi due paragrafi.
Un modello esemplare
Alcuni studi hanno, invece, documentato, con la concretezza dei dati, il giudizio elogiativo generale che possiamo tributare al testo della nostra Costituzione: da una parte Deon (1998) ha indagato, anche sulla base degli atti dell’Assemblea costituente, il processo di scrittura collettiva che ha portato al prodotto che ora leggiamo; a sua volta Cignetti (2005) ci ha fornito una dettagliata analisi di quel prodotto. Con il conforto di questi e degli altri saggi citati in bibliografia, possiamo proporre una sintesi che dia ragione del giudizio generale sopra enunciato.
Brugnoli (2006), sulla scorta di Prieto de Pedro, ha ricordato quali sono le caratteristiche linguistiche e testuali della lingua dei testi costituzionali: l’alto grado di astrattezza e di concisione degli enunciati, la grande coerenza dello sviluppo concettuale, la densità semantica dei concetti, e delle parole che li rappresentano, e anche un uso abbondante di figure retoriche, in particolare le metafore, che fa da contraltare a un ricorso parco alle definizioni, oltre che alle descrizioni. Con una netta riserva circa l’uso delle metafore, possiamo concordare che questi sono i tratti costitutivi anche del testo della Costituzione della Repubblica italiana; proprio nella capacità di aver conciliato concisione, densità, astrattezza con linearità sintattica e relativa semplicità del lessico sta il merito dei padri costituenti.
Un esempio di buon drafting
La Costituzione sembra quasi essere un’applicazione ante litteram dei manuali di redazione dei testi legislativi (drafting con un anglicismo che possiamo anche evitare) che negli ultimi anni si sono succeduti, in Italia e non solo, per cercare di porre rimedio alla disastrosa qualità testuale delle leggi che Parlamento e Assemblee regionali producono nel nostro tempo.
Pienamente rispettati sono i principi di formulare periodi brevi e chiari, di usare frasi semplici o frasi complesse con un numero contenuto di proposizioni subordinate, di far precedere (“preferibilmente”) la frase principale rispetto alle proposizioni subordinate: «i periodi della Costituzione sono mediamente brevi, spesso monoproposizionali e, quando la frase è complessa, la relazione tra le proposizioni è tendenzialmente di tipo paratattico» (Cignetti 2005: 89) e «in ogni caso, il livello di subordinazione nei periodi supera raramente il primo grado» (Cignetti 2005: 90). Si tratta di un impianto sintattico che va decisamente in controtendenza rispetto alle consuetudini dei testi normativi, nei quali la lunghezza delle frasi non è solo una scelta stilistica, ma è una necessità funzionale «dovuta alla necessità di inserire in essi il massimo numero di elementi, in modo da lasciare il minore spazio possibile a lacune di informazioni o all’insorgere di casi di ambiguità» (Gotti 1991: 148). Inoltre, è molto raro che una proposizione secondaria preceda la principale: ne ho contato solo 7 casi (art. 21, 63, 74, 77, 85, 98, 136), tutti con proposizioni introdotte da se o quando (per es. all’art 136: «Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»). Caratteristica del testo è pure l’assenza di incisi, che non solo comporta linearità sintattica e migliore leggibilità, ma anche garantisce l’univocità e l’esplicitezza del contenuto nozionale: «le parentesi creano uno sdoppiamento del piano enunciativo che inevitabilmente produce anche una complicazione del testo» (Cignetti 2005: 121).
Notevole è l’attenzione per la strutturazione del testo, che denota una sistematica cura per la pianificazione testuale (oltre alla sua verifica, ed eventuale modifica, in corso d’opera). La rappresentazione della struttura del testo proposta da Cignetti (2005: 95) e le successive osservazioni sul principio gerarchico che regola lo sviluppo tematico della Costituzione confermano anche in questo caso, con la concretezza dei dati, le valutazioni generali proposte.
Certamente, l’uso di parole del vocabolario di base non significa che tali parole siano prive della complessità concettuale connaturata a un testo giuridico, e in modo particolare a un testo costituzionale. Ne sono un esempio parole come Repubblica e Stato, appartenenti entrambe al cosiddetto vocabolario fondamentale, quello costituito dalle parole più frequenti nella nostra lingua. Nonostante la diffusa conoscenza di queste parole, solo lettori esperti possono rendersi conto che nella Costituzione vi è una netta distinzione tra i due termini, in quanto Stato è solo una parte della Repubblica (quest’ultimo termine designa l’insieme di tutte le attività e funzioni sia dello Stato come tale sia delle Regioni e degli altri enti pubblici); tuttavia, la comprensione dei principi su cui si fonda la Repubblica Italiana è ugualmente garantita dalla conoscenza comune della lingua italiana ed è solo parzialmente menomata dalla disattenzione per distinzioni come questa. Comprensibilità generale e precisione tecnico-giuridica possono, in questo modo, coesistere.