Il tema del primo paragrafo riportato qui di seguito è stato trattato, con maggiori particolari, nel post Maria Elena Boschi non è Concetto Marchesi..
Un esempio di scrittura collettiva meditata
Le caratteristiche linguistiche esemplari della lingua della carta costituzionale non sono prodotti del caso, ma sono il frutto di un lungo, meditato, appassionato lavoro collettivo di costruzione del testo. Deon (1998) ha ricostruito, sulla base dei resoconti dei lavori della Costituente, lo svolgersi di questo processo. Sia nel dibattito generale sulla bozza di testo predisposto da una commissione dell’Assemblea costituente (la cosiddetta Commissione dei 75) sia nella discussione dei singoli articoli si incontrano numerosi e approfonditi interventi sul valore semantico delle parole usate, con raffinate comparazioni delle alternative sinonimiche dei termini proposti, che testimoniano una forte e diffusa coscienza metalinguistica dei componenti dell’Assemblea costituente.
Ma non sono solo le scelte lessicali ad essere il frutto di serrate e talvolta tormentate, ma alla fine proficue, discussioni. Anche la coerenza della strutturazione del testo è il risultato di un lungo lavoro: basta confrontare il prodotto finale con il progetto di costituzione che ha costituito la base per il testo definitivo: risulta chiarissimo lo sforzo fatto dai costituenti per dare un ordine estremamente coerente agli articoli del testo. I primi articoli, quelli sui principi fondamentali, disegnano nella versione approvata uno sviluppo argomentativo assai limpido: il primo articolo ha come tema l’Italia, di cui si dice che è una Repubblica e se ne danno le caratteristiche; la Repubblica diventa il tema del secondo articolo e si dice quali diritti riconosce e garantisce all’uomo; l’uomo, nella sua veste di cittadino, diventa il tema dell’articolo 3: dei cittadini si dice che sono uguali. E così via. Il testo di partenza era molto più frammentato: basti pensare che al primo articolo, nella sostanza (ma non nella forma) uguale a quello definitivo, seguiva quello sulla bandiera nazionale, che non poteva avere uno sviluppo successivo (Deon 1998: 206).
Un esempio che non ha fatto scuola
Ma anche l’analisi qualitativa porta a risultati analoghi: basta leggere, ad esempio, il quinto comma dell’art. 117 nella nuova versione:
Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza.
Il comma, costituito sintatticamente da un’unica frase, è di 63 parole. Per quanto il grado di subordinazione sia contenuto (vi è un’unica proposizione secondaria, la relativa che conclude il comma), il cumulo di sintagmi preposizionali che si incastrano gli uni sugli altri rendono il testo complesso e di difficile lettura. Se si pensa che questo comma è inserito in un articolo di 9 commi e 619 parole, si capisce bene che ci troviamo di fronte a un corpo estraneo rispetto al tono complessivo della Costituzione, come la conoscevamo prima della riforma del 2001.
La Costituzione, nella versione attuale del titolo V, mostra i caratteri della legislazione ordinaria, non la limpidezza e la stringatezza che caratterizzano i testi costituzionali. Con le leggi ordinarie, il nuovo titolo V ha in comune diverse realizzazioni linguistiche, che non agevolano la comprensione del testo e si allontanano dall’essenzialità di una legge di principi quale è la costituzione di uno stato.
Tra questi tratti, segnalo, prima di tutto, l’elencazione di casistiche dettagliate e particolareggiate (il che comporta, a volte, anche difficoltà a gestire i nessi e le congiunzioni, come nel caso del secondo comma dell’art. 120, nel quale la congiunzione disgiuntiva viene realizzata, a breve distanza, con o, oppure e ovvero: «Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali»).
Poi, la presenza dei riferimenti e rinvii interni i quali, anche come riflesso del dettaglio delle previsioni normative presenti nel testo, assumono una notevole complessità («le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119», art. 116). In questo modo si ottiene un notevole effetto di precisione, ma si nuoce alla chiarezza del testo e, soprattutto, si snatura una delle caratteristiche della Costituzione della Repubblica italiana, che, in nome della chiarezza, aveva scelto sistematicamente di rinunciare ai rinvii normativi (i pochi rinvii interni esistenti prima del 2001 sono stati introdotte da modifiche successive alla promulgazione della Costituzione).
Inoltre, va ricordata la scarsa cura formale, che Cignetti (2005: 93) ha individuato, per esempio, nell’infelice uso della punteggiatura nell’art. 122 (frutto non della riforma del 2001, ma di una precedente modifica del 1999, che riflette, tuttavia, il medesimo clima stilistico):
Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi.
Cignetti nota che «la prima virgola compare dopo ben quarantuno parole, a detrimento non solo dell’eleganza formale, ma soprattutto della chiarezza informativa. Forse l’introduzione di due virgole correlate per isolare il sintagma preposizionale aggiuntivo “nonché dei consiglieri…”, e eventualmente di una terza prima della limitativa “nei limiti…”, permetterebbe una scansione degli argomenti più naturale, con pieno vantaggio della chiarezza del testo».
Infine, il lessico: la nuova versione del titolo V ricorre a parole che non appartengono al vocabolario di base più frequentemente di quanto non facesse la versione originaria: l’11,45% delle parole del testo del 2001 non fa parte del vocabolario di base, contro l’8,94% della versione del 1947. Tra l’altro, come non sarà sfuggito alla lettura dei brani sopra riportati, nel testo riformato ritroviamo parole che sono dei veri e propri tic linguistici del linguaggio normativo e amministrativo odierno: ovvero, che, come è noto, oltre a non essere una parola comune, è una parola ambigua (può significare sia ‘oppure’ sia ‘cioè’) e nonché, spesso usato semplicemente come sinonimo, ritenuto di livello più alto, del comune e. Queste due parole non ricorrevano nel testo originario.