In questo blog mi sono già occupato dell’italiano improbabile di Trenitalia, e del suo inglese, ancor più improbabile. Ora Geppi Patota ci dà nuovi spunti, con il suo post dal titolo parlante: Trenitalia: “L’azienda ha sempre ragione”. E il passeggero?
Raccontiamo la storia, con le sue parole.
Il viaggiatore deve esibire, su richiesta del personale ferroviario, in prossimità della salita, a bordo del treno e fino all’uscita dalla stazione ferroviaria il titolo di viaggio ed il documento che giustifica l’eventuale riduzione di prezzo fruita e, nel caso sia richiesto, deve riconsegnare il titolo di viaggio a viaggio terminato al personale incaricato del ritiro.
Nel caso di titolo di viaggio rilasciato in modalità Ticketless, il viaggiatore deve fornire il codice identificativo di prenotazione ricevuto al momento dell’acquisto.
Per i titoli di viaggio nominativi e per quelli per i quali la riduzione di prezzo applicata o la fruizione di altre forme di agevolazione (ad esempio, attribuzione di punti fedeltà per i possessori delle carte di fidelizzazionedi Trenitalia) impongano l’identificazione dell’avente titolo, è prescritta l’esibizione da parte del viaggiatore di un documento personale d’identificazione valido, a richiesta del personale di bordo o di terra incaricato del controllo.
Però … però c’è il cavillo. Due commi prima, le Condizioni di trasporto precisano quali forme può avere il titolo di viaggio:
Non è previsto il biglietto su supporto elettronico. Quindi, il combinato disposto del comma 3 e del comma 1 dell’art. 5 delle Condizioni di trasporto delle Ferrovie italiane danno probabilmente ragione al capotreno 0000000, che conosce l’italiano meno di quel che ritiene, ma in compenso domina pienamente i meandri del regolamento di Trenitalia, quello che più propriamente potremmo ribattezzare «Condizioni Generali di Trasporto contro i passeggeri di Trenitalia».
Già, perché sul mero e gretto piano formalistico, il capotreno 0000000 può anche aver ragione. Sul piano del buon senso e della capacità interpretativa della norma (per la quale occorre far funzionare l’intelligenza) ha molto meno ragione. E comunque, il problema sta a monte: nell’incapacità delle pachidermiche istituzioni burocratiche (anche se si fregiano dell’apposizione spa) di adeguarsi con coerenza ai nuovi mezzi di vendita che adottano. Basta, cioè, scrivere nella procedura di acquisto del biglietto, in un italiano da brivido, «stampa l’allegato pdf alla mail di conferma che costituisce biglietto» per far capire a un viaggiatore del XXI secolo che non basta «esibire» l’immagine elettronica di un biglietto nominativo per dimostrare di aver pagato il viaggio? Dire che Trenitalia ha un irragionevole spirito borbonico è far torto ai Borboni.
Secondo problema. Che cosa ha risposto l’arguto capotreno 0000000 alla rischiesta del povero viaggiatore mazziato (50 euro per l’arretratezza culturale di Trenitalia) di redigere un verbale? «Signore, potrei essere suo nipote: non lo faccia. Se redigo un verbale, la penalità raddoppia. L’azienda ha sempre ragione». Ma che razza di corsi di comunicazione seguono i capotreni di Trenitalia per dire simili stronzate? Magari è anche vero, un’azienda di fatto monopolistica come Trenitalia può anche arrogarsi il potere di avere sempre ragione, ma, signor capotreno, non lo si dice così spudoratamente, non gliel’ha mai spiegato nessuno? E poi, una volta, ad aver sempre ragione non era il cliente?
A me era capitato un altro genio della comunicazione aziendale nel 2006 (di lui ho reso pubblico il numero di matricola): avevo protestato per il fatto che la composizione di un treno era l’opposto di quanto era stato annunciato dall’altoparlante. La reazione del controllore? All’inizio piccata, poi pilatesca: «non sono io a decidere la composizione dei treni!». Detto questo, se ne andò, troncando ogni dialogo, come se si fosse lì per sbaglio. Forse questa sì è una tecnica comunicativa imparata a qualche corso. Ma certamente una tecnica comunicativa che denota la volontà di non avere buoni rapporti con i viaggiatori-clienti.
Anche a questo proposito posso portare la mia esperienza. Nel settembre del 2012 ero in un Eurostar Venezia-Roma, che è stato soppresso a Bologna per un guasto. Può capitare. Ma ero stato testimone del disagio di molti stranieri, dato che le informazioni erano state date solo in italiano. Per di più, la notizia della soppressione del treno è stata data all’ultimo minuto, dopo una serie di altri annunci, di tutt’altro contenuto: Trenitalia fa spesso così! Ho protestato con il capotreno, che mi ha risposto, come talvolta fanno i capotreni delle ferrovie italiane, in maniera villana. (Perché non crediate che abbia pregiudizi sui dipendenti di Trenitalia, aggiungo che, invece, le addette all’assistenza clienti sul marciapiede della stazione di Firenze, alle quali ho dovuto chiedere ulteriori informazioni, sono state gentili, precise, dotate di buon senso). Ho fatto il mio bravo reclamo, riuscendo a superare tutti gli ostacoli che il software oppone a chi vuole spedirne uno. L’oggetto, tra quelli previsti obbligatoriamente dal sistema, era “Salita, permanenza a bordo e discesa dal treno – Informazioni in treno”. Ebbene, dopo il mese di prammatica, mi arriva la risposta, nella quale Trenitalia mi dà, di fatto, del deficiente. Per forza: non hanno ricostruito le modalità di informazione all’interno del treno, ma quelle alla stazione di Bologna (non ho difficoltà a immaginare che siano state perfette, ma non era di questo che mi lamentavo!). Ho fatto un reclamo sul reclamo, chiedendo a Trenitalia: “Ma ci siete o ci fate?”. Posso anche capire perché la seconda volta non mi hanno risposto. Ma insomma, Geppi Patota, non farti troppe illusioni!
Non mi illudo, però. Sono consapevole che ciò non accadrà mai. E allora, non so perché, mi viene prepotentemente alla mente, con tanta nostalgia, la vecchia rivista satirica «Cuore».