Nel «Post» è uscito qualche giorno fa (il 10 aprile 2016) un articolo di Leonardo Tondelli intitolato Il trapassato non trapassa, dedicato al trapassato remoto. Il punto di partenza è un articolo di Roberto Cotroneo, Il trapassato remoto che non usa più nessuno, introdotto così da Tondelli: «La scorsa settimana uno scrittore italiano su un giornale italiano ha scritto un pezzo sui bei tempi andati».
Cotroneo sostiene che oggi non si usa più il trapassato remoto, senza che nessuno se ne lamenti. Sarebbe «sostituito da tempi verbali al passato che all’incirca rendono l’idea, senza troppe complicazioni». Aggiunge:
Ma in realtà il trapassato remoto è un modo di pensare la storia, ed è un modo di capire il tempo. Non è la stessa cosa dire: ebbi cantato piuttosto che cantai. Perché tra i due tempi c’è una linea di separazione. Un qualcosa di avvenuto e di concluso, una sistemazione del disordine della vita. Usare il trapassato remoto è un modo per archiviare davvero, ma non è un modo per dimenticare.
Le ragioni della rarità del trapassato remoto sono state enunciate anche da Tondelli nel suo articolo, almeno in parte e con qualche imprecisione (a cominciare dal modo con cui scrive il nome del tempo: «trap remoto». Era così complicato scrivere il nome per intero? Anche perché l’autore si è tirato dietro, con facilità, la battuta: ma cosa c’entra Trapattoni?).
Il trapassato remoto è sottoposto a ulteriori restrizioni, la più importante delle quali è che non può essere usato nelle costruzioni passive (se posso dire Dopo che ebbero sparecchiato la tavola, le ordinarono di lavare i piatti, non posso formare la corrispondente frase passiva: *Dopo che la tavola fu stata sparecchiata, le ordinarono di lavare i piatti).
Come giustamente nota Cotroneo, il trapassato remoto è una forma dell’italiano colto. Nell’italiano corrente, per es. in quello parlato, è sostituito dal passato remoto (Dopo che Piero se ne andò, tutti tirarono un sospiro di sollievo) o, soprattutto in Italia settentrionale, dal passato prossimo (Dopo che Piero se ne è andato, tutti hanno tirato un sospiro di sollievo).
Cosa possiamo concludere? Che il trapassato remoto ha subito una forte evoluzione dalla fase antica a quella moderna dell’italiano. Nella fase moderna, invece, l’uso del trapassato remoto è sottoposto a un così gran numero di restrizioni, che è difficile apprezzarne un’eventuale diminuzione di utilizzo. È comunque probabile che questa diminuzione ci sia stata, ma non per le ragioni addotte, in maniera certamente suggestiva, da Roberto Cotroneo, bensì per un motivo strettamente morfosintattico al quale non fa riferimento, se non implicitamente, Leonardo Tondelli, ma che non è sfuggito a Francesca, una sua commentatrice: la riduzione dell’uso del trapassato remoto anche in registri formali è, principalmente, l’effetto secondario del regresso del passato remoto: un regresso generale in Italia settentrionale, ma in corso anche in altre zone d’Italia. Se nella principale non c’è il passato remoto, non può neppure esserci il trapassato nella secondaria.