L’articolo parla delle critiche ricevute perché, in alcuni articoli che parlano dei vaccini, per non ripetere la parola vaccino si sono alternate parole dello stesso campo semantico, come siero o come antidoto, che però hanno un altro significato.
Ma perché nei giornali si attuano sostituzioni come questa? Anna Masera spiega che questo nasce da una convenzione consolidata (e rispettata ossessivamente, aggiungo io) nelle redazioni dei giornali: quella di evitare a tutti i costi le ripetizioni, che renderebbero il testo poco gradevole. Un principio seguito anche a costo di essere semanticamente, il che significa informativamente, imprecisi.
A questa impostazione, che condivido in pieno, c’è da aggiungere un’altra prospettiva. La ripetizione è uno strumento fondamentale per garantire l’uniformità di un testo e per assicurarsi che il lettore capisca se l’autore sta parlando sempre della stessa cosa o se si sta occupando di cose diverse. Nelle Trenta regole per scrivere testi amministrativi chiari che, quasi vent’anni fa ho pubblicato con Federica Pellegrino, la regola n. 4 (Tenete unito il testo), ricorda che la ripetizione delle parole che designano i concetti-chiave è uno strumento di coesione del testo altrettanto importante dell’esplicitazione dei nessi logici attraverso i connettivi: «è bene essere il più chiari possibile quando in un testo si fa più volte riferimento a uno stesso oggetto: per esempio, nel sollecito di pagamento di un affitto, ci sarà bisogno di nominare più volte il pagamento e l’affitto. La scuola ci ha insegnato che non si dovrebbe ripetere troppe volte la stessa parola. Da un certo punto di vista questo è un buon consiglio, perché troppe ripetizioni finiscono per annoiare il lettore. Però non bisogna fare troppo sfoggio di fantasia lessicale; se il richiamo è chiaro, si può utilizzare un pronome (ad esempio: “L’affitto va pagato ogni mese. Si può versarlo nel conto corrente…”); altrimenti è bene evitare sostituzioni poco chiare al lettore (per esempio, è meglio non alternare affitto con locazione)».
Torniamo ad Anna Masera. In un primo momento, di fronte alle critiche per l’imprecisione (anzi, il vero e proprio errore) di alternare vaccino, siero, antidoto, si era arroccata nella difesa delle consuetudini giornalistiche: