Sono appena tornato da un convegno, a Rimini, sulla “Professione di avvocato al tempo della crisi. Punti di vista ed esperienze a confronto”. Vi hanno partecipato, oltre ad avvocati e giuristi, un sociologo, uno psicologo, un economista e un linguista. L’economista, Paolo Polidori, ha fatto un’osservazione che mi ha dato da pensare. L’osservazione, che
Questa piccola, e se volete banale, riflessione, corona una settimana nella quale mi sono confrontato più volte con il linguaggio dei medici, del quale non abbiamo mai parlato in questo blog (tranne che per i problemi metodologici relativi alla medicina
Quest’anno il corso è iniziato il 4 novembre. E, per un gioco del caso, in quello stesso giorno su «Italia oggi» è uscito un servizio da Berlino dal titolo «Cari medici, imparate a spiegarvi» (con il sottotitolo «Il problema è aggravato dai numerosi dottori stranieri»), mentre le pagine sulla salute del sito della BBC,
Certo, la mobilità internazionale dei medici pone nuovi e gravi problemi linguistici, che si aggiungono alla sempre più diversificata provenienza dei pazienti. Ma i problemi linguistici non mancano neppure quando a entrare in contatto sono medici e pazienti che parlano la stessa lingua.
Riordinando l’articolo di «Italia oggi» (il cui autore è Roberto Giardina), con qualche integrazione, possiamo fare un quadro riassuntivo di quel che fanno, o non fanno, i medici (tedeschi) quando comunicano con i pazienti e di quali azioni sono state intraprese in Germania per affrontare il problema.
Per iniziare: qual è il grado di comprensione da parte dei pazienti dei discorsi dei medici? Secondo un’indagine condotta a Berlino, il 20% dei pazienti non comprende quel che dice il medico o l’infermiera. Soprattutto nelle campagne, poi, molti pazienti, specie i più anziani, sono dialettofoni. Ma non sempre i medici (ancor di più se sono stranieri) sanno il dialetto.
Effettivamente, spesso i medici parlano in maniera incomprensibile: potrebbero parlare cinese, e il livello di comprensione sarebbe uguale. Invece di parlare come tutti, si rifugiano nel loro gergo. Per chi ha una formazione classica, può essere anche possibile ricostruire il significato dei termini scientifici che vengono dal latino e dal greco. Ma si tratta di una minoranza. Quanti sono i pazienti che riescono a collegare la rinite con il raffreddore?
Ma non è solo una questione di lessico. Il problema maggiore è l’asimmetria di conoscenze tra medico e paziente: spesso i medici non si rendono conto che quel che loro danno per scontato per il paziente non lo è affatto. È la “maledizione della conoscenza” di cui ha trattato proprio oggi Licia Corbolante nel suo blog Terminologia etc.
Capita, poi, che il medico non spieghi affatto al paziente che cosa abbia, quale cura gli viene consigliata e perché. Con effetti spesso gravi. Per legge, anche in Germania, il medico dovrebbe spiegare il perché di un’operazione e i rischi connessi, ma il paziente finisce per firmare l’autorizzazione (il nostro «consenso informato») al buio, fidandosi ciecamente del medico.
E in Italia?