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L’imperizia comunicativa dell’Istat

Dell’ISTAT, l’Istituto nazionale di statistica, avevo apprezzato la positiva evoluzione della redazione dei questionari del censimento. Quello del 1991 era stato oggetto di critica, e di una proposta di riscrittura, nel leggendario Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle Amministrazioni Pubbliche promosso dall’allora ministro Sabino Cassese e pubblicato nel 1993 dal Dipartimento della Funzione pubblica.

L’ISTAT aveva fatto tesoro delle osservazioni fatte nel Codice di stile e già nell’edizione del 2001 le domande erano formulate in maniera più adeguata per essere comprese magari non da tutta la popolazione, ma da una fetta sufficientemente ampia (e comunque più ampia di quella che aveva potuto comprendere la formulazione del 1991). Un solo esempio, piccolo, banale se volete, ma indicativo del cambiamento di atteggiamento: dove nel 1991 si leggeva «Figli non sposati (in ordine decrescente di età)», nel 2001 si leggeva «Figli non sposati (dal più grande al più piccolo)».

Anche la veste grafica era nettamente migliorata (per migliorare ulteriormente nel 2011, come si vede dall’immagine riportata sopra).

Di conseguenza, sono stato fortemente sorpreso ieri, quando ho ricevuto questa lettera a firma dell’attuale presidente dell’ISTAT, Giorgio Alleva:

Se non riuscite a leggere questo testo, anche cliccando sull’immagine, non state sbagliando qualcosa. Il testo è, prima di tutto materialmente, illeggibile, perché molto lungo e scritto in un corpo troppo piccolo e troppo fitto.

Ma, soprattutto, rappresenta un caso esemplare di incompetenza scrittoria da parte di un ente pubblico.

Non occorre avere un’ampia formazione nell’ambito della comunicazione per capire che una lettera di mille parole con caratteri corpo 8 è illeggibile. Peraltro, l’ISTAT, l’ente che gestisce il censimento della popolazione italiana, dovrebbe sapere bene che il 28,86% della popolazione italiana ha, al massimo, la licenza elementare e il 29,77% la licenza media. E, ciononostante, ha scritto un testo che, come documenterò verso la fine del post, non risulta leggibile con facilità neppure da parte del restante 41,37 %.

Non occorre aver seguito particolari corsi di scrittura amministrativa per capire che una frase come la seguente

I dati raccolti nell’ambito della presente indagine, tutelati dal segreto statistico e sottoposti alla normativa sulla protezione dei dati personali, potranno essere utilizzati, anche per successivi trattamenti, esclusivamente per fini statistici dai soggetti del Sistema statistico nazionale e potranno essere comunicati per finalità di ricerca scientifica alle condizioni e secondo le modalità previste dall’art. 7 del Codice di deontologia per i trattamenti di dati personali effettuati nell’ambito del Sistema statistico nazionale

è una frase troppo lunga, fuori da ogni ragionevolezza (71 parole! Ma prima ce n’è una addirittura di 113).

Non serve un’intelligenza particolare per capire che molte delle informazioni presenti mostrano il punto di vista dell’Amministrazione, ma non tengono in nessun conto le esigenze del destinatario. Per esempio, tutta la spiegazione sull’obbligo di risposta (che però non è ancora formalizzato, perché la lettera è stata inviata prima della pubblicazione del decreto con l’aggiornamento del Programma statistico nazionale 2014-2016), contiene un sacco di informazioni del tutto prive di interesse per il destinatario, ma manca dell’informazione essenziale: la consistenza delle sanzioni riservate a chi si rifiuti di rispondere. E pensare, che è agevole trovare fonti dello stesso ISTAT nelle quali l’informazione è data con chiarezza e semplicità.

Non occorre, infine, una particolare perizia nella stesura dei testi per rendersi conto che la ridondanza, in una lettera così lunga, andrebbe evitata e che, per esempio, era sufficiente dare una volta sola l’informazione che l’«elenco in vigore delle indagini con obbligo di risposta è consultabile sul sito internet dell’Istat alla pagina http://www.istat.it/it/istituto-nazionale-di-statistica/ organizzazione/normativa».

Tralascio gli errori di punteggiatura, le scelte lessicali incongrue, la sintassi decisamente migliorabile. Non so se l’imperizia dimostrata dagli estensori di questa lettera possa definirsi analfabetismo funzionale, certamente è un indice di incapacità di scrivere in modo adeguato ai fini che ci si propone e al destinatario a cui ci si rivolge.

Ai ricercatori dell’ISTAT vorrei ricordare che i numeri sono importanti, ma le parole anche. Da parte mia, so che le parole sono importanti, ma sono, in qualche modo, misurabili. Per questo, concludo mostrando ai valenti statistici dell’ISTAT le statistiche di leggibilità del loro testo, come si può facilmente (e anche un po’ rozzamente, lo ammetto) recuperare dal più diffuso programma di videoscrittura:

Richiamo l’attenzione dei lettori su due dati. Il primo è che il 33,2% del testo è costituito da parole meno diffuse, cioè da parole non appartenenti al vocabolario di base. Per poter fare un confronto: da una ricerca, ancora inedita, di un gruppo di ricercatori romani (sociologi, linguisti e statistici) si ricava che la percentuale di parole meno diffuse contenute nei discorsi parlamentari è il 16%, cioè la metà della percentuale di quelle presenti in questo testo. Il secondo è il valore di leggibilità di questo testo, al netto delle circa 200 parole della nota finale, secondo la formula Gulpease: 38 (su una scala che va da 0 a 100). È uno dei valori più bassi che mi sia capitato di incontrare nella mia ormai lunga esperienza di analisi di testi amministrativi. Per capire cosa significhi questo dato, possiamo fare una verifica sulla scala di interpretazione dei valori dell’indice Gulpease, come l’ho elaborata sulla base della scala ufficiale del gruppo che costruito l’indice:

Come si vede, per leggere la lettera oggetto di questo post c’è bisogno di quella che ho chiamato “lettura assistita” (“lettura scolastica” nella illustrazione ufficiale), anche per chi ha una formazione da scuola media superiore. Insomma, nessuno è in grado di leggere agevolmente questo testo senza aiuti.

Io, se fossi il Presidente dell’ISTAT, mi vergognerei come un ladro ad aver firmato e fatto inviare a dei cittadini una lettera come questa e cercherei di rimediare inviando una lettera di scuse. Ma sono pronto a scommettere che il prof. Giorgio Alleva non avrà questa sensibilità (però sarei lietissimo di essere smentito).

Certamente, come cittadino prescelto per questa indagine mi sento linguisticamente e comunicativamente molestato dall’ISTAT e non sono certo ben predisposto a collaborare fattivamente all’indagine. Da cittadino coscienzioso e timoroso delle sanzioni, risponderò con mansuetudine ma con svogliatezza alle domande che il povero intervistatore mi farà.

ADDENDUM. Mi ha scritto anche il Comune. Una lettera piana e chiara. L’ISTAT potrebbe imparare.

 

L’imperizia comunicativa dell’Istatultima modifica: 2015-10-11T13:17:28+02:00da
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