Certo, ho scritto una solenne stupidaggine. Ma non sono impazzito. Ho semplicemente applicato al «Giornale» lo schema concettuale che alcuni commentatori, già negli Stati Uniti, hanno applicato ai tweet con cui Barack Obama e Hillary Clinton hanno reso pubblica la loro partecipazione al lutto per la strage nello Sri Lanka il giorno di Pasqua.
Hanno cercato di spiegare che Easter indica solo la Pasqua cristiana, e quindi era implicito che si parlasse di cristiani, che l’espressione Easter worshippers era affiancata a tourists nel tweet di Obama e travelers in quello di Hillary Clinton, per poter includere tutte le vittime degli attentati, che si tratta di un’espressione di lunga tradizione e che era stata usata, nei giorni precedenti, a proposito dei fedeli cattolici rammaricati per la chiusura di Notre Dame.
Aggiungerei, anche se è un particolare secondario, che la parola più esatta non sarebbe cristiani, ma cattolici, visto che gli ortodossi, che pure sono cristiani, festeggiano la Pasqua la prossima domenica.
Ma niente. Le polemiche sono continuate, sia pure con toni contenuti e misurati, come nel tweet di Maria Giovanna Maglie:
La polemica si è fondata, in Italia, sulla traduzione tendenziosa e manipolatoria di Easter worshipper come adoratori della Pasqua. Come tradurremmo, allora, quest’altro tweet di Hillary Clinton? «Tre comunità di adoratori in Luisiana»?
Ma se la traduzione di Easter worshippers fosse stata «fedeli riuniti in preghiera per la Pasqua», l’effetto sarebbe stato ben diverso, la polemica sarebbe stata meno virulenta, il dibattito si sarebbe fondato su basi più solide. Non occorre, infatti, servirsi di traduzioni forzate e tendenziose per attaccare, se lo si vuole, le espressioni dei due esponenti democratici statunitensi: anche spiegando che gli Easter worshipper sono i «fedeli riuniti in preghiera per la Pasqua», si può argomentare che sarebbe stato opportuno parlare più esplicitamente di attacco alle comunità cristiane. La discussione si sarebbe mantenuta sul piano del civile confronto politico. Ma, si sa, le polemiche basate sui dati e sull’onestà intellettuale non vanno di moda in questi tempi. Impera la manomissione delle parole.