C’ero cascato anch’io, e avevo visto in questa definizione una prova del ritorno al politichese, il linguaggio della vecchia politica, quella della prima repubblica, che nascondeva dietro formule vaghe e frutto di compromesso le forti differenze di opinione tra i partiti che facevano parte delle coalizioni di governo.
La definizione discende direttamente dalla Costituzione, il cui art. 2 recita «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Possiamo discutere sulla qualità e l’efficacia della definizione, che estrae dal suo contesto la formulazione generica formazione sociale, le affianca la precisazione specifica, che poco o nulla aggiunge al significato dell’espressione, e ne fa un sintagma bloccato che, come si è visto, può erroneamente essere interpretato come denominazione autonoma.
Non siamo, propriamente, di fronte a un’espressione del neopolitichese che, a mio parere, si sta diffondendo nell’attuale politica. Del vecchio politichese il neopolitichese ha le caratteristiche di fondo, quello di usare denominazioni nebulose e vaghe che confondono il contenuto delle norme, ma al tempo stesso garantiscono una condivisione di facciata da parte di gruppi politici portatori di valori diversi. A cambiare sono, però, le forme lessicali usate, che ormai fanno tesoro delle tecniche comunicative del marketing e della pubblicità: sono forme affascinanti per il forte potere attrattivo. Basti pensare al nome con il quale è nota la legge di riforma della scuola, la legge 13 luglio 2015, n. 107, «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti»: la «Buona scuola», nome attraente ma semplificante (o attraente proprio perché semplificante); oppure a jobs act, nome ufficioso, ma molto diffuso, della legge sul mercato del lavoro (Legge 10 Dicembre 2014 n. 183, «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro»). L’espressione jobs act è certamente più facilmente utilizzabile del nome ufficiale della legge, più completo, ma certamente farraginoso e barocco. Al tempo stesso, jobs act è un esempio
Con quest’ultima espressione, torniamo al tema da cui avevamo iniziato, e cioè le forme di riconoscimento delle coppie omosessuali e delle questioni spinose che vi si accompagnano, come, ricorda Beppe Severgnini nell’articolo citato in apertura, «l’adozione dei figli dei partner da parte di coppie dello stesso sesso (per complicare ulteriormente le cose è in uso il termine inglese, stepchild adoption)».