Una delle parole da vietare, almeno a chi non la sa usare correttamente, è codesto: ne ho già scritto in questo blog. Un’altra espressione da vietare è entro e non oltre.
Pochi giorni fa, l’ha citata un ascoltatore della trasmissione radiofonica La lingua batte:
Entro e non oltre è un’espressione inutilmente ridondante: il significato trasmesso da non oltre è già compreso nel significato di entro. Normalmente non diciamo «Il Presidente del Consiglio ha giurato davanti e non dietro il Capo dello Stato», «per domani prevista neve sopra e non sotto i 1000 metri», «questa notte stessa, prima e non dopo che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte»: perché frasi come queste siano sensate, occorre che ci sia la necessità di esplicitare il contrasto tra un’asserzione e un’asserzione contrapposta (per es., perché la seconda espressione non sia puramente ridondante, bisogna ipotizzare che io debba raggiungere una località che si trova a 980 metri sul livello del mare e, avendo ascoltato male le previsioni del tempo, abbia il timore di trovarmi nel pieno di una nevicata).
Nell’uso ricorrente e stereotipo di entro e non oltre non si verificano quelle particolari condizioni comunicative che possono giustificare una simile ridondanza. Non risulta persuasiva, né corrispondente alla realtà, l’affermazione che l’uso dell’espressione entro e non oltre indichi termini perentori, mentre entro da solo indichi termini ordinatori. La Corte di Cassazione ha ritenuto che tale espressione sia insufficiente per indicare che un termine è considerato essenziale.
Anche nella Legge 27 dicembre 2013, n. 147, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (Legge di stabilità 2014)» compare qualche entro e non oltre, ma in misura molto limitata rispetto al semplice entro (4 occorrenze della locuzione contro le 177 di entro).
Non sembra proprio che ci siano condizioni contestuali che orientano verso una forma o verso l’altra. Basta confrontare le due seguenti occorrenze: «L’alienazione si perfeziona, anche con effetto transattivo ai sensi degli articoli 1965 e seguenti del codice civile, con il consenso del titolare del deposito, comunicato alla Prefettura — Ufficio territoriale del Governo, entro e non oltre i quindici giorni successivi alla notifica» (art. 446) e «in caso di mancato accordo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui alla lettera b) è comunque emanato entro i quindici giorni successivi» (art. 730). Se i contesti sono simili, ad essere diverse sono probabilmente le sedi dove sono stati redatti i due articoli: in ambito amministrativo il primo, in ambito giuridico-politico il secondo.
È proprio difficile, per tutti, resistere alle stupidaggini del linguaggio burocratico.