Un ascoltatore della trasmissione La lingua batte ha riportato una parte del capo d’accusa contro Luigi Preiti, l’uomo che il 28 aprile ha sparato contro due carabinieri in servizio davanti a Palazzo Chigi:
e lo ha così commentato: “Comprendo che il linguaggio giuridico ha un suo perché, ma non capisco come mai non si riescano a fare degli sforzi per rendere simili documenti comprensibili alla maggior parte delle persone. Un capo d’accusa è un atto personale, rivolto direttamente al cittadino e che può influire radicalmente sulla sua vita, è giusto che chiunque abbia completato almeno la scuola dell’obbligo sia in grado di leggerlo e comprenderlo senza la mediazione di uno specialista.“
Non c’è dubbio che il post documenti un’azione esecutiva di un diffusissimo disegno criminoso: quello dell’abuso della lingua italiana perpetrato dai magistrati (ma anche dagli avvocati, dai notai e dai professori di diritto).
Risultano interessanti i commenti che si sono susseguiti. Li riporto qui quasi tutti, perché mi sollevano dalll’onere di commentare la pessima scrittura di quel capo d’accusa.
M.M.pazzia pura
R.G.M. Come ha detto Gianrico Carofiglio sabato scorso, il linguaggio giuridico ha lo scopo di trasformare i cittadini in sudditi.
E.T.I. Credo che vi sia una ricerca della neutralità assoluta nell’esposizione dei fatti, unita a una cura profonda nei dettagli che, purtroppo, sono fossilizzati in un gergo settoriale
R.G.M. Ho rinunciato…in Italia ci sono più avvocati che clienti. Il linguaggio giuridico è sedimentato nel suo essere diverso dal linguaggio comune, e ritengo dalla vita quotidiana, oramai da secoli, anzi, da millenni, ed è ormai consuetudine accettata. Ed è talmente ambiguo e manovrabile, che un bravo avvocato sarebbe in grado di interpretare uno stesso articolo di legge in modo esattamente contrapposti. Ma questa non è ricchezza di linguaggio, è indeterminatezza, è totale assenza di certezza, generalità e astrattezza elevate all’ennesima potenza…potere assoluto del popolo del diritto.
R.R.R. E’… il POTERE!
C.C.“…per avere sparato con l’intenzione di uccidere, in modo volontario e premeditato, da vicino e ad altezza-uomo, sette colpi d’arma da fuoco, ferendo al collo…… e alla gamba …….. Se l’intento di uccidere è fallito, ciò non è l’esito dei comportamenti messi in atto dall’imputato”.
Saluti all’avvocato (che magari potrebbe concentrarsi su altro di questa storia..ad es. se il suo assistito avesse o meno ingenti debiti di gioco…e con chi…tradotto…se esiste qualcuno che ha “manovrato/cospirato, approfittando della fragilità del tale).
M.F. …non vorrei sbagliarmi, questo non è linguaggio giuridico ahahah questo è un rapporto scritto in puro linguaggio Catarelliano. “…attingendo al collo”??? ahahah Per anni è stato oggetto di barzellette e risate. Purtroppo è legato al livello di studio, di conoscenza delle regole grammaticali di base e a un distorto uso dell’ italiano d’ufficio (e ci sono molti settori in cui si deturpa la Lingua). Come se non bastasse un semplice linguaggio corretto, per informare, descrivere… ma si dovessero creare appositamente locuzioni da contorsionista. Non so se oggi il livello di istruzione, di insegnamento dell’italiano, nelle scuole di polizia, nelle varie Accademie delle nostre Armi, e anche nelle Società sportive, che prendono da piccoli i bambini per farne campioni (calcio, sci…) sia più alto e dignitoso, non so se ci siano miglioramenti in tal senso. Finora è stato solo sfacelo.
A.D.E. Sono d’accordo con M.F. Questo non è linguaggio giuridico, questo è il vero linguaggio .. da caserma e per azzeccagarbugli. Non si troverà in un codice di diritto attingere come sinonimo di ferire o colpire. Le sole locuzioni giuridiche sono “più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso” e” atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionare la morte” per individuare quelle che si chiamano “fattispecie” di reato, altra parola assurda e spesso riportata nei verbali e anche sui giornali senza renderla comprensibile. In questo caso il reato continuato e la volontà inequivocabile di commettere un reato, cioè il dolo. (altra parola astrusa, ma deriva dal latino come molte altre e nel linguaggio giuridico molto più frequenti). I cittadini sono allontanati senza dubbio dai linguaggi specialistici e aulici (chi direbbe oggi cagionare invece di causare?) ma torniamo ad un precedente dibattito sul linguaggio normativo-burocratico: corretto quasi pignolescamente ma incomprensibile ai più. E’ però il lascito ereditario del nostro patrimonio storico-giurdico che deriva da sovrapposizioni di codici e fonti di diritto da più di 2000 anni. La cosa che trovo scandalosa è che nemmeno chi dovrebbe conoscerlo, dalle forze dell’ordine ai parlamentari, si impegna a studiarlo proprio per renderlo “vicino” ai cittadini e dare doverosamente conto della propria attività. Poi di tutte le professioni che usano linguaggi tecnici si potrebbe fare a meno in un mondo utopico, perfino del medico se si studia medicina e ci si vuole curare da soli eppure usa un linguaggio tecnicissimo, ancora più incomprensibile e difficile di quello giuridico, dell’ingegnere se ci si accontenta di una casa di legno, dell’architetto (a che serve allora un urbanista?) dei giornalisti anche certamente, dei notai perchè basterebbe l’onorabilità dei patti tra persone.. Di tutti, tranne che degli insegnanti…. Per sdrammatizzare riporto un vecchio verbale che diventò barzelletta: “l’appuntato Mascetta è stato oggetto di richiamo disciplinare perchè indossava il cappello al contrario, dimodochè quando entrava sembrava che uscisse e viceversa…”
G.M. Non si tratta di conoscere o meno il burocratese.Non si cambia perché nello schema mentale di chi scrive tali cose è ovvio che si scriva così e in nessun altro modo possibile. Pigrizia mentale, poca voglia di cimentarsi con l’acquisizione di sinonimi adatti e una certa aurea di sacralità, come se ci fosse il bisogno di mostrare la conoscenza di vocaboli “tecnici ” che risultano oramai obsoleti e scarsa padronanza al di” fuori della semantica da verbale”.
Non conta essere compresi da chi è fuori di quel mondo, ma dagli addetti ai lavori. Quindi è un tipo di comunicazione tra coloro che operano ” nelle fattispecie normative” e non per farsi comprendere. Ai Promessi Sposi, non vi ricordate quando Renzo chiede a Don Abbondio le cause del rifiuto di celebrare il matrimonio, e il parroco gli risponde in latino! ” Che volete che me ne faccia del vostro latinorum” gli replica il Renzo; così l’abitudine. La tecnica del linguaggio per gli ardetti che si autoincensa e si perpetua. Quasi uno sciamano con formule di rito.
M.F. Per i linguaggi settoriali concordo con voi, oggi però è da tempo che si parla anche di trasparenza e, specialmente in campo medico, come diceva Anna, questo è diventato un Diritto del malato, del consumatore, in modo più ampio. Quello del rapporto di polizia però, non è un linguaggio settoriale, perlopiù è solo molto sgrammaticato; è un linguaggio che vive in mezzo a quello giuridico e lo imita malamente. Un linguaggio che da tempo viene dileggiato da comici e imitatori.
A.D.T. @A.D.E. propongo la lettura del simpatico libro di Serianni “Un treno di sintomi”
C.A. “attingendo” anche qui….non solo nel verbale del carabiniere di qualche post fa, ma pure come capo d’accusa, quindi scritto dal PM
C.C. l’avevamo indicato come termine troppo lieve per la descrizione di un’azione violenta che ha prodotto la possibile tetraparesi di un uomo e la frattura di una gamba di un altro. Non si può sentì “attingere” in merito:(:(:(:(:(:(:(:(:(:(
R.G.M. La freddezza di un linguaggio tecnico, corretto o maldestramente imitato, come nel caso di questo burocratese da caserma, rende freddo e insensibile chi è chiamato ad usarlo quotidianamente per redigere un verbale o scrivere un rapporto, e quindi anche per descrivere tragedie come queste. Fa orrore.
Ho, però, tre piccoli corollari.
Con sentenza in data 11 marzo 1999 il Tribunale di Trieste dichiarò <R. M.> colpevole di induzione, previo reclutamento, e sfruttamento continuati della prostituzione, nonché di introduzione clandestina in Italia, in concorso con altri, di varie donne straniere (fatti commessi in Trieste, tra il settembre 1997 e l’aprile 1998) ed, unificati i reati nel vincolo della continuazione, esclusa l’aggravante di cui all’art. 4 n. 1 L. 75-58 e concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenute equivalenti alle altre contestate aggravanti, nonché la diminuente di rito di cui all’art 442 c.p.p (in considerazione della mancata celebrazione del giudizio con rito abbreviato, da parte del G.I.P., nonostante la concorde richiesta in tal senso delle parti e la ravvisata sussistenza delle relative condizioni), lo condannò alla pena di anni due e mesi due di reclusione, con statuizioni accessorie.
Appellata sia dall’imputato (quanto all’entità della pena, alla mancata dichiarazione di prevalenza delle attenuanti generiche ed alla non concessa sospensione condizionale), sia dal P.M. (che aveva dedotto l’eccessiva mitezza della pena, in relazione alla effettiva gravità dei reati),detta decisione veniva parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Trieste che, rigettato il gravame dell’imputato ed accolto, per quanto di ragione, quello del P.M., rideterminava la pena in anni due e mesi dieci di reclusione con conferma nel resto e maggiori spese a carico del <M.>.
Avverso la sentenza di secondo grado, in epigrafe indicata, l’imputato ha proposto, tramite difensore di fiducia, ricorso per cassazione, deducendo, quale unico motivo, “Violazione art 606 lett. b),c) ed e) c.p.p in relazione agli artt. 443 comma 3 c.p.p e 580 c.p.p., per mancata declaratoria di inammissibilità appello pubblico ministero, comunque motivazione mancante in relazione medesime disposizioni normative e altresì art. 133 c.p.”
È la sentenza che stiamo cercando di raddrizzare linguisticamente nel mio corso di Metodi linguistici di analisi dei testi del corso di laurea magistrale in Strategie di comunicazione. Ma che fatica!