Gli anglismi di Matteo Renzi

linguabatteNella pagina Facebook degli ascoltatori più appassionati della trasmissione radiofonica «La lingua batte» è stato pubblicato ieri questo post:

Dichiara il Presidente del Consiglio: “Noi avvieremo cinque “HOTSPOT”, ma non è partita la “RELOCATION” come vorremmo” (a proposito dei migranti). (Quotidiani di oggi 11/12)
Vi sottopongo queste ipotesi per l’uso compulsivo degli anglicismi da parte sua:
a) non vuole farsi capire
b) vuole darsi un’immagine giovanile, internazionale, “alla moda”
c) l’importante non è cosa si dice, ma farsi vedere alla televisione.
Che ne dite ? Avete altre spiegazioni ? So che il dibattito sul tema è stato affrontato qui già altre volte; ma vorrei sapere il vostro parere. Grazie.

Si sa che chi partecipa alle discussione della «Lingua batte» è uno «scopavirgole», o un «grammar nazi», e che probabilmente il tema che affrontiamo qui interessa poco, sia i sostenitori del Presidente del consiglio, sia i suoi detrattori. Ma, a dire il vero, a sollevare il problema era stato lo stesso Matteo Renzi, quando non era ancora Presidente del consiglio, in un’intervista al «Corriere della Sera»:

Venendo qui ho incontrato una signora che mi ha preso in giro per il Jobs act: “Oh Renzi, falla finita con questi nomi strambi!”. Ha ragione: basta anglicismi.

renzi-biciRenzi si è presto dimenticato di questa sua affermazione (ma si è dimenticato presto anche di altre affermazioni, ben più importanti, anche se poi sfumate da codicilli, di quell’intervista: «Enrico non si fida di me, gliel’ho detto l’altro giorno. Ma sbaglia», «Quindi, sì, certo, il governo proseguirà per tutto il 2014». Il mancato rispetto della promessa sugli angli(ci)smi è il meno rilevante).
Interessanti sono le risposte degli altri commentatori al quesito sulla ragione dell’uso compulsivo degli anglismi da parte di Matteo Renzi:
  • B, c, e d: è un po’ citrullo
  • D: vuole far credere di avere tutto sotto controllo anche gli errori
  • E: Potrebbe anche non capire ciò che dice
  • B+C+D: Renzi non sta bene con la testa
  • Risposta A , senza dubbio
  • D. Tenta di imitare Crozza che imita Renzi, ma gli riesce malissimo.

C’è anche chi, sbrigativamente, commenta così, alla veneta: «No, è solo mona!!!!», e chi cerca di rifiutare un antirenzismo che trova nelle scelte linguistiche una valvola di sfogo a contrarietà che sono, probabilmente, più decisamente politiche: «Quanto acidume! Non so se è più fastidioso chi abusa di anglicismi o chi non ha nulla da dire sui contenuti e si fissa sugli anglicismi».

Renzi-su-destinazione-area-Expo-20151Ma, a parte qualche altro commento sbrigativo («Modello Fonzy…(non dimentichiamo)», «Non sa l’italiano»), ci sono interventi che affrontano diverse sfaccettature di questa abitudine di Matteo Renzi che, si sa, ha un dominio limitato dell’inglese, ma fa un uso sistematico dell’anglismo per designare provvedimenti fondamentali della sua azione politica («Trovo esilarante l’abuso di anglicismi da parte di un parlante mediocre di inglese. Comunque, la mia opinione è che voglia fare il fico e abbia una carenza preoccupante di senso del ridicolo»;«È il classico inglese di chi vo’ fa l’americano. Lo irrideva Carosone qualcosa come settanta anni fa, ma si vede che la sua ironia era troppo sottile»). Il caso più emblematico degli anglismi renziani per denominare punti fermi della sua politica è jobs act («I miei anzianotti genitori, mi hanno chiesto ingenuamente cosa fosse questo rinomato “jobs act”», ricorda un partecipante alla discussione).
dilloinitaliano
C’è soprattutto una cosa che mi stupisce di questo continuo ricorso all’anglismo da parte di un Presidente del consiglio che punta molto all’immagine e che, mi pare evidente,  ha alle spalle un’agguerrita squadra di comunicatori: il fatto che non si renda conto della reazione all’invadenza degli anglismi nella nostra lingua che, dopo decenni di letargo, mi pare si stia diffondendo, come mostrano gli esiti della petizione #dilloinitaliano.
Ecco i temi degli altri commenti: c’è chi collega le scelti anglicizzanti di Renzi con la fisionomia più generale della sua promozione d’immagine e con la sua sudditanza ai comunicatori che lo consigliano («Il Presidente Renzi parla come veste; si sa il marchio, ma non sa vestirsi»; «Non è colpa sua: glielo hanno scritto così il testo. Tradurre lui non sa, non gli resta che leggere»); chi esprime, soggettivamente, il proprio disappunto («A me, questa faccenda dell’ “inglesorum” di Renzi, fa più incazzare che ridere»), chi vede nell’atteggiamento di Renzi un’espressione dello spirito dei tempi, soprattutto da parte di chi comanda («Gli viene naturale, ormai tutti quelli sull’onda parlano così»; «Segue il triste corteo di uomini d’affari, rettori universitari, manager e vippame vario che avendo partecipato a un paio di convegni in Minnesota credono di apparire fighi (“cool “) usando termini anglo-americani a caso»; con il saggio corollario «il brutto è che dopo un po’, anche noi cominciamo a parlare così, e ci sembra di essere evoluti, intelligenti ed istruiti»; ed anche: «Dipende dai giorni. Per quanto la tattica sia odiosa e pericolosa, è difficile prescindere dalla componente grottesca e ridicola, in una parola: Italia. Emoticon frown»; «Provinciale esterofilia»), chi entra nel merito delle scelte («Oltretutto esiste una traduzione ufficiale UE di “hotspot”: “punti di crisi”. Non c’è bisogno di inventarne altre, basterebbe seguire quella»: anche questo blog aveva accennato alla questione).
Entrano ancor più nel merito della domanda di fondo altri intervenuti: «Non vuol farsi capire. Lo fa con coscienza. È una gretta abitudine dei governanti incapaci», «Temo che l’uso del “latinorum” (ricordate Renzo nei “Promessi Sposi”?) possa essere un modo per mascherare la carenza di contenuti… ». E qualcuno aggiunge: «Io sono ancora in attesa della spiegazione di spending review».
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Dalla mia prospettiva è questa la questione fondamentale, che ho cercato di illustrare in un articolo benignamente citato da una delle intervenute: l’uso degli anglismi da parte di Matteo Renzi è certamente, in parte, modaiolo e inerziale («tutti quelli sull’onda parlano così»). Ma quando si tratta di presentare programmi che si traducono in concrete azioni politiche, cioè in leggi, non è altro che la nuova versione del politichese: alle strategie dell’attenzione e alle crisi degli schemi bipolari, si sostituiscono le spending review, quantitative easing, voluntary disclosure, hotspot,  foreign fighters, spread, jobs act, Foia. I nomi inglesi non fanno altro che confondere i cittadini sul contenuto delle norme, giocando sulla nebulosità, ma anche sul forte potere attrattivo, di espressioni poco note e non immediatamente comprensibili.
È un fenomeno che dura da qualche anno (non è Renzi il solo colpevole: spending review, per esempio, l’ha preceduto di qualche anno). A chi fa politica gli anglismi servono, consapevolmente o meno, per cercare di rendere più appetibili provvedimenti che, con nomi più trasparenti, risulterebbero meno accetti all’elettorato.
Gli anglismi di Matteo Renziultima modifica: 2015-12-13T13:32:33+01:00da cortmic
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