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Abolire “piuttosto che” con valore disgiuntivo?

Che cos’hanno in comune Gino Strada, Maristella Gelmini, Maria Vittoria Brambilla, Francesco Profumo?

La violenza che esercitano sulla lingua italiana.

Ecco le prove.

Gino Strada: “di questo passo, saranno gli omosessuali piuttosto che i poveri piuttosto che i neri piuttosto che gli zingari ad essere perseguitati” (TG3 del 22 gennaio 2002)

Mariastella Gelmini: “non restano risorse per il miglioramento della qualità, per l’investimento nei laboratori tecnici,  piuttosto che anche nell’edilizia scolastica” (TG1, 2009)

Michela Vittoria Brambilla: “Intendiamo sfruttare gli eventi sportivi piuttosto che le celebrazioni dei 150 anni, l’Expo 2015, tutto quanto può essere importante per portare un incoming dal mondo del nostro paese”

Francesco Profumo: “l’obiettivo è quello di creare professionalità per i nostri studenti, per esempio cuochi, piuttosto che idraulici, piuttosto che elettricisti” (TG1, 2012).

Gino Strada, Mariastella Gelmini, Michela Vittoria Brambilla, Francesco Profumo usano piuttosto che con un valore particolare, sempre più diffuso nell’italiano più recente, quello disgiuntivo, equivalente a ovvero.

   (F. Sabatini – V. Coletti, Dizionario Della Lingua Italiana, Rizzoli-Larousse)

 

La storia di questo nuovo uso di “piuttosto che” l’aveva fatta, già un decennio fa, Ornella Castellani Pollidori, nel sito dell’Accademia della Crusca: ne aveva notato l’origine geografica (nordoccidentale, e difatti vengono dal Nord Ovest Strada, Gelmini, Brambilla, Profumo), sociale (almeno inizialmente era espressione propria di «un linguaggio certo non popolare e probabilmente venato di snobismo») e cronologica (pare che il nuovo significato di piuttosto che fosse in uso già nei primi anni Ottanta tra i giovani del ceto medio-alto torinese), ne aveva ricostruito il probabile processo di creazione: alla base ci sarebbero frasi come «Andremo a Vienna in treno o piuttosto in aereo» (con un piuttosto usato per dare maggiore plausibilità al secondo elemento della coppia disgiuntiva). Dalla riformulazione di questo costrutto e dalla sua banalizzazione (con la perdita del leggero senso di preferenza per la seconda opzione enunciata) sarebbe originato il nuovo significato disgiuntivo.

Se in tanti usano piuttosto che con questo nuovo valore, tanti altri vi si oppongono.

Gianrico Carofiglio, Le perfezioni provvisorie, è drastico: “Non c’è problema? Ma come parli, Guerrieri? Sei impazzito? Dopo non c’è problema ti rimangono tre passaggi: un attimino, quant’altro e piuttosto che nell’immonda accezione disgiuntiva. A quel punto sei maturo per andare all’inferno”.

Luca Serianni  ne parla in un intervento radiofonico conservato in rete.

Francesco Sabatini da “UnoMattina in famiglia” lancia regolarmente appelli contro questo uso di piuttosto che.

Stefano Bartezzaghi ha definito “piuttosto che” disgiuntivo una sgrammaticatura “a prezzemolo” (ne ha parlato nel libro Non se ne può più. Il libro dei tormentoni (Mondadori 2010).

Sia Edoardo Nesi, Premio Strega 2011, sia Vinicio Capossela hanno indicato proprio piuttosto che come esempio di parola da odiare e da abolire nel migliore dei mondi possibile.

Carlotta Mazzoncini, una giovane lettrice di “Repubblica”, ha caricato un appassionato video contro l’uso disgiuntivo di piuttosto che.

Valeria Della Valle e Giuseppe Patota ne hanno scritto nel loro libro del 2011, Viva la grammatica (pp. 224-25) e in quello del 2012, Ciliegie o ciliege? (p. 103), ma, soprattutto, vi hanno intitolato il libro del 2013, Piuttosto che. Le cose da non dire, gli errori da non fare (edito, come i precedenti, da Sperling & Kupfer).

Ma hanno fatto di più. In occasione della presentazione del libro a Roma, il 22 aprile, hanno organizzato una raccolta di firme per l’abrogazione di piuttosto che.

Ma perché i linguisti (Sabatini, Della Valle, Castellani Pollidori, Serianni, Patota) si oppongono a questa innovazione con tanta passione? Lo fanno contraddicendo un punto che sembrava ormai assodato nel campo della ricerca linguistica: gli studiosi di scienze del linguaggio hanno il compito di osservare l’uso della lingua, di interpretarlo, di estrarne le regole soggiacenti, non quello di governarlo. È normale che la lingua evolva, portando a norma quello che prima era errore e difendere a tutti i costi gli usi tradizionali che stanno per essere innovati dalla comunità parlante è, il più delle volte, un’operazione destinata al fallimento.

Ma è anche normale che i parlanti possano opporsi alle innovazioni in corso. Lo possono fare in modo silente, semplicemente non accogliendo l’innovazione, oppure in modo esplicito, criticando l’uso innovativo, polemizzando, mettendo in guardia.

Ecco, allora, la ragione per cui molti linguisti sono impegnati nella crociata contro il nuovo significato di piuttosto che: lo fanno come parlanti preoccupati per la perdita di efficienza della nostra lingua. Invece di migliorare la comprensibilità e la chiarezza dei nostri discorsi, questa innovazione apre nuovi spazi di ambiguità. L’uso disgiuntivo di piuttosto che viene ad affiancarsi agli usi tradizionali che sono di valore sostanzialmente opposto. Fino a vent’anni fa, se un medico suggeriva di usare il farmaco A piuttosto che il farmaco B, non ci sarebbero stati dubbi: intendeva dire che il farmaco A era più consigliabile del farmaco B. Oggi può venire il dubbio che, invece di intendere questo, voglia dire che i due farmaci sono equivalenti. Per questo, molti linguisti, ma anche molti altri parlanti, cercano di opporsi a un uso che fa diventare la nostra lingua un po’ più ambigua di quanto lo fosse prima.

Cosa faranno i parlanti? Come reagirà la lingua italiana? Accoglierà definitivamente l’innovazione o la espellerà come un corpo estraneo? Ornella Pollidori Castellani era molto tranquilla quando ha scritto il suo commento al nuovo costrutto: “Basterà avere un po’ di pazienza: anche la voga di quest’imbarazzante piuttosto che  finirà prima o poi col tramontare, come accade fatalmente con la suppellettile di riuso”. Era il 2002. A undici anni di distanza non possiamo dire che piuttosto che disngiuntivo si sia insediato stabilmente nella lingua italiana, ma non possiamo neppure dire che si sia (ancora) realizzato il presagio di un suo fatale tramonto.

Abolire “piuttosto che” con valore disgiuntivo?ultima modifica: 2013-05-01T15:23:00+02:00da
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