Quando l’inglese spiega l’italiano

Il 2015 è stato caratterizzato da due iniziative importanti  a proposito dell’inserimento dei forestierismi, e particolarmente degli anglicismi, in italiano: da una parte il convegno tenutosi a Firenze il 23 e 24 febbraio 2015 su “La lingua italiana e le lingue romanze di fronte agli anglicismi” (di cui sono usciti gli atti in formato elettronico), dall’altra la petizione “#Dilloinitaliano che è riuscita a incipitraccogliere quasi 70.000 firme. Esito operativo di queste due iniziative è stata la costituzione del gruppo “Incipit”, con lo scopo di monitorare i neologismi e forestierismi, impiegati nel campo della vita civile e sociale; l’obiettivo è quello di segnalare l’introduzione impropria del forestierismo nella fase in cui si affaccia alla lingua italiana e prima che prenda piede.

Il primo oggetto di riflessione è stata la nuova accezione di hot spot, nel senso di ‘punto di primissimo smistamento allestito in prossimità dei luoghi di sbarco degli Stati di frontiera, in cui viene assicurata una rapida identificazione e registrazione dei migranti’. Il gruppo Incipit ha messo in guardia contro l’uso dell’anglicismo, in quanto l’uso di hot spot appare offensivo, elusivo rispetto alla realtà e politicamente scorretto. È però fuorviante il titolo Il gruppo Incipit: Chiamiamoli Centri di identificazione e non “hot spots”, in quanto il gruppo ha espresso le perplessità nei confronti dell’anglicismo, ma non ha ancora preso posizione a favore di un’alternativa: il processo che porta al suggerimento di un corrispondente italiano non è immediato, ha bisogno di riscontri, di verifiche delle soluzioni proposte, di discussioni sui pro e contro. È un processo che ha bisogno di tempi brevi, per essere efficace, ma che non può essere immediato. Per ora, resta in punto_crisipiedi la soluzione, a mio parere non felicissima, escogitata dai traduttori della Commissione europea che, come si vede dalla banca dati Iate, traducono l’inglese hot spot con punto di crisi.

Per dare un’idea delle difficoltà che si hanno nel proporre alternative ai forestierismi correnti nella divulgazione di forestierismi diffusi nella vita sociale a propositi di istituti e concetti ufficiali, porto due esempi, quello di question time e quello di voluntary disclosure.

question_timePer la definizione del primo, si può ricorrere alla spiegazione che ne dà il sito di Rai Parlamento: «Il Question time è il tradizionale botta e riposta tra Parlamento e Governo: in aula, rappresentanti dell’esecutivo rispondono, subito e in diretta televisiva, alle interrogazioni dei parlamentari. Il tempo a disposizione è fissato dai regolamenti di Senato e Camera. Il Question Time della Camera va in onda, di norma, il mercoledì alle ore 15.00; quello del Senato ha invece cadenza quindicinale, ogni due giovedi alle 16.00».

voluntary disclosure.docxPer la definizione del secondo, riporto quanto sta scritto nella pagina italiana di un sito internazionale di informazioni, Blasting News: «La Voluntary disclosure consente infatti la possibilità di presentare richiesta, in modo volontario, all’Amministrazione finanziaria, per denunciare e regolarizzare i patrimoni detenuti all’estero. In cambio il contribuente è tenuto al pagamento delle tasse evase con uno sconto sulle penali. Fino al 30 settembre le richieste sono state circa 60 mila con una emersione di circa 28 miliardi di imponibile».

Cercando di ricostruire l’uso dei due forestierismi, ho recuperato un dato comune: per entrambi i concetti, esiste una denominazione ufficiale italiana, presente in testi normativi. Ma le istituzioni pubbliche che si occupano del question time e della voluntary disclosure usano l’anglicismo per far capire al maggior numero di persone il significato delle locuzioni italiane ufficiali.

cameraCosì, nel sito della Camera, per illustrare l’istituto della «interrogazione a risposta immediata» (regolata dall’art. 135 bis del Regolamento della Camera), si fa ricorso proprio al forestierismo:

Tra le interrogazioni, si segnalano quelle a risposta immediata (il question time), che si svolgono sia in Assemblea (trasmesse in diretta televisiva), sia nelle Commissioni, e che sono caratterizzate da uno svolgimento particolarmente rapido.

agenzia_entrateUna cosa analoga avviene nel sito dell’Agenzia delle entrate, a proposito della (procedura di) collaborazione volontaria, prevista dall’art. 5-quater della Legge  15 dicembre 2014, n. 186, «Disposizioni in materia di emersione e rientro di capitali detenuti all’estero nonché per il potenziamento della lotta all’evasione fiscale. Disposizioni in materia di autoriciclaggio» («Art. 5-quater. – (Collaborazione  volontaria). – 1. L’autore della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui  all’articolo 4, comma 1, commessa fino al 30 settembre 2014, può avvalersi  della procedura di collaborazione volontaria di cui  al  presente  articolo per l’emersione delle attività finanziarie e patrimoniali costituite o detenute fuori del territorio dello Stato»). L’Agenzia delle Entrate, che, come ente statale, ha il dovere di usare l’espressione contenuta nella legge, spesso vi affianca, tra parentesi, la forma inglese, evidentemente più diffusa tra gli addetti ai lavori:

La “collaborazione volontaria” (voluntary disclosure) è uno strumento che consente ai contribuenti che detengono illecitamente patrimoni all’estero di regolarizzare la propria posizione denunciando spontaneamente all’Amministrazione finanziaria la violazione degli obblighi di monitoraggio.

Il fenomeno è singolare: per rendere comprensibile un’espressione italiana, si deve ricorrere a un’espressione inglese. In questo, come ho scritto in un giornale, come c’è senz’altro un vezzo dettato da provincialismo che permea molte espressioni ufficiose, ma c’è anche una chiara, anche se implicita, denuncia dell’inefficacia delle espressioni che vengono inserite nei testi delle leggi e dei regolamenti. Proprio per la collocazione del forestierismo come glossa, non credo che si possa parlare anche in questi casi di mancanza di rispetto per l’interlocutore, di comunicazione poco trasparente, di aggiramento del collegamento nozionale con i condoni e gli scudi fiscali del passato, come ha sostenuto Licia Corbolante nel suo autorevole blog Terminologia etc.

Ne consegue che dovremmo partire da questo, se vogliamo ridurre il ricorso a parole, e a concetti, stranieri: bisognerebbe essere meno piatti e burocratici quando si redigono le leggi. Se in tali testi ci fosse un italiano più vivo, ci sarebbe meno bisogno di ricorrere a ben più vivaci nomi inglesi.

Quando l’inglese spiega l’italianoultima modifica: 2015-10-04T17:46:06+02:00da cortmic

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