La pedagogia linguistica democratica di Tullio De Mauro

Sono rimasto davvero commosso nei giorni della morte di Tullio De Mauro per il corale cordoglio che ha percorso la stampa ed è sbocciato, spontaneo, nei social network. Allievi, colleghi, insegnanti, lettori della sua opera hanno tributato il riconoscimento per quello che De Mauro ha dato loro, sia in termini di conoscenze, sia in termini di attenzione, rispettosa e per molti anche affettuosa.

gruppo_firenzeNon avevo fatto caso al livoroso post pubblicato, già il 6 gennaio, da Giorgio Ragazzini del Gruppo di Firenze (il gruppo promotore del famoso appello dei 600 professori universitari Contro il declino dell’italiano a scuola) intitolato Doverose integrazioni al doveroso elogio del linguista Tullio De Mauro. Già alla seconda riga Ragazzini di De Mauro ricorda le «non poche prese di posizione sbagliate in tema di scuola» (secondo il generoso principio democratico che chi non la pensa come me non ha semplicemente idee diverse dalle mie, ma le ha sbagliate). Oggetto della reprimenda fiorentina sono la critica di De Mauro alla «nefasta usanza dei ‘temi’» (che, per inciso, condivido in pieno) e il «pregiudizio ideologico nel modo in cui De Mauro parla di ortografia», basandosi su un intervento piuttosto marginale nella produzione di De Mauro, la Relazione introduttiva a Ricerche e proposte per la società e la scuola, di Autori vari, De Donato, 1977, citata da Ernesto Galli Della Loggia, Credere, tradire, vivere, Bologna, Il Mulino, 2016.

galliLo ha seguito lo stesso Galli Della Loggia (uno dei 600, firmatari dell’appello; per essere precisi,  uno dei numerosi firmatari dell’appello ormai in pensione): l’opinionista del «Corriere della Sera» ha dedicato oggi a Tullio De Mauro un commento altrettanto velenoso, basato ancora una volta su quel brano, che in questi giorni si sta posizionando bene nelle classifiche del riciclo citazionale.

Insomma, in molti hanno rimpianto De Mauro, in quanto paladino dell’insegnamento dell’italiano per tutti, produttore di strumenti fondamentali per l’uso dell’italiano, oltre che come acuto studioso dell’italiano contemporaneo. Invece ci stavano sbagliando. Giorgio Ragazzini ed Ernesto Galli della Loggia hanno svelato le lontane colpe di Tullio De Mauro, dalle quali non può essere redento neanche dalla morte.

Ma è quella citata da Ragazzini e da Galli della Loggia la terribile verità della subdola azione svolta da Tullio De Mauro negli anni Settanta? È lui il vero colpevole delle presunte incapacità scrittorie dei giovani d’oggi?

logoLascio la conclusione ai lettori. Chiedo loro, però, di leggere prima, o rileggere, le Dieci tesi per l’educazione linguistica democratica, notoriamente ispirate da De Mauro, nella loro versione integrale o, se è una lettura troppo impegnativa per la velocità della vita d’oggi, nella versione accorciata che riporto qui sotto, limitata a una parte di tre tesi, la sesta (Inefficacia della pedagogia linguistica tradizionale), l’ottava (Principi dell’educazione linguistica democratica), la nona (Per un nuovo curriculum per gli insegnanti).

Lascio ai lettori decidere soprattutto una cosa: se la pedagogia linguistica proposta da De Mauro è una pedagogia facilona, rilassata, che gioca al ribasso.

Inefficacia della pedagogia linguistica tradizionale
Della pedagogia linguistica tradizionale noi dobbiamo criticare fermamente anzi tutto l’inefficacia. Dal 1859 esiste in Italia una legge sull’istruzione obbligatoria, che, dal decennio giolittiano, ha cominciato a trovare realizzazione effettiva a livello delle primissime classi elementari. Masse enormi sono passate da sessanta, settant’anni attraverso queste classi. La pedagogia tradizionale ha saputo insegnare loro l’ortografia? No. Essa ha sì puntato sull’ortografia tutti i suoi sforzi. Ma ancora, oggi, in Italia, un cittadino su tre è in condizioni di semianalfabetismo. E non solo. L’ossessione degli «sbagli» di ortografia comincia dal primo trimestre della prima elementare e si prolunga (e questa è già un’implicita condanna di una didattica) per tutti gli anni di scuola. Ebbene: sbagli di ortografia si annidano perfino nella scrittura di persone colte. E non parliamo qui di lapsus freudiani o di occasionali distrazioni, ma di deviazioni radicate e sistematiche (qui con l’accento per esempio, o gli atroci dilemmi sulla grafia dei plurali di ciliegia e goccia ecc.).
Come non insegna bene l’ortografia, così la pedagogia tradizionale non insegna certo bene la produzione scritta. […] L’oscurità, i periodi complicati sono il risultato della pedagogia linguistica tradizionale.
La pedagogia linguistica tradizionale, dunque, non realizza bene nemmeno gli scopi su cui punta e dice di puntare. In questo senso, essa è inefficace. Perfino se gli scopi restassero gli stessi, nelle scuole bisognerebbe comunque cambiare tipo di insegnamento.

Principi dell’educazione linguistica democratica
[…]
5. Occorre sviluppare e tenere d’occhio non solo le capacità produttive, ma anche quelle ricettive, verificando il grado di comprensione di testi scritti o registrati e vagliando e stimolando la capacità di intendere un vocabolario sempre più esteso e una sempre più estesa varietà di tipi di frase.
6. Nelle capacità sia produttive sia ricettive va sviluppato l’aspetto sia orale sia scritto, stimolando il senso delle diverse esigenze di formulazione inerenti al testo scritto in rapporto all’orale, creando situazioni in cui serva passare da formulazioni orali a formulazioni scritte di uno stesso argomento per uno stesso pubblico e viceversa.
7. Per le capacità sia ricettive sia produttive, sia orali sia scritte, occorre sviluppare e stimolare la capacità di passaggio dalle formulazioni più accentuatamente locali, colloquiali, immediate, informali, a quelle più generalmente usate, più meditate, riflesse e formali.
8. Seguendo la regola precedente, si incontra la necessità di addestrare alla conoscenza e all’uso di modi istituzionalizzati d’uso della lingua comune (linguaggio giuridico, linguaggi letterari e poetici ecc.).
9. Nella cornice complessiva delle varie capacità linguistiche, occorre curare e sviluppare in particolare, fin dalle prime esperienze scolari, la capacità, inerente al linguaggio verbale, di autodefinirsi e autodichiararsi e analizzarsi. Questa cura e questo sviluppo possono cominciare a realizzarsi fin dalle prime classi elementari arricchendo progressivamente le parti di vocabolario più specificamente destinate a parlare dei fatti linguistici, e innestando così in ciò, nelle scuole postelementari lo studio della realtà linguistica circostante, dei meccanismi della lingua e dei dialetti, del funzionamento del linguaggio verbale, del divenire storico delle lingue, sempre con particolare riferimento agli idiomi più largamente noti in Italia e insegnati nella scuola italiana.
10. In ogni caso e modo occorre sviluppare il senso della funzionalità di ogni possibile tipo di forme linguistiche note e ignote. La vecchia pedagogia linguistica era imitativa, prescrittiva ed esclusiva. Diceva: «Devi dire sempre e solo così. Il resto è errore». La nuova educazione linguistica (più ardua) dice: «Puoi dire così, e anche così e anche questo che pare errore o stranezza può dirsi e si dice; e questo è il risultato che ottieni nel dire così o così». La vecchia didattica linguistica era dittatoriale. Ma la nuova non è affatto anarchica: ha una regola fondamentale e una bussola; e la bussola è la funzionalità comunicativa di un testo parlato o scritto e delle sue parti a seconda degli interlocutori reali cui effettivamente lo si vuole destinare, ciò che implica il contemporaneo e parimenti adeguato rispetto sia per le parlate locali, di raggio più modesto, sia per le parlate di più larga circolazione.

Per un nuovo curriculum per gli insegnanti
La nuova educazione linguistica non è davvero facilona o pigra. Essa, assai più della vecchia, richiede attenzioni e conoscenze sia negli alunni sia negli insegnanti
. Questi ultimi in particolare, in vecchie prospettive in cui si trattava di controllare soltanto il grado di imitazione e di capacità ripetitiva di certe norme e regole cristallizzate, potevano contentarsi di una conoscenza sommaria di tali norme (regole ortografiche, regole del libro di grammatica usato dai ragazzi) e di molto (e sempre prezioso) buon senso, che riscattava tanti difetti delle metodologie. Non c’è dubbio che seguire i principi dell’educazione linguistica democratica comporta un salto di qualità e quantità in fatto di conoscenze sul linguaggio e sull’educazione.
[…]

Concludo, su suggerimento di Geppi Patota, con una citazione del 1998, che dovrebbe fare definitivamente cadere nel nulla la diffamazione della memoria di Tullio De Mauro perpretata in questi giorni: «Il bravo insegnante deve sapere tanta di quella grammatica, avere letto tanto Renzi e tanto Serianni e tanto Lepschy e tanto Schwarze […], deve sapersi destreggiare così bene tra i buoni dizionari della lingua italiana, da poter far vivere allo studente, dal livello elementare ai livelli sempre più complessi, delle medie superiori, l’esperienza di manipolazione della strumentazione grammaticale che una lingua ti mette a disposizione». Tullio De Mauro, in S. Ferreri S., Guerriero A. R. (1998) (a cura di), Educazione linguistica vent’anni dopo e oltre. Che cosa ne pensano De Mauro, Renzi, Simone, Sobrero, La Nuova Italia, Firenze, 1998.

La pedagogia linguistica democratica di Tullio De Mauroultima modifica: 2017-02-07T18:27:59+01:00da cortmic
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