L’Ispettorato del lavoro di Cremona si adegua immediatamente al nuovo Codice del pubblico dipendente

cremona.jpg«Un piccolo artigiano di Roncadello viene multato di 5.200 euro dall’Ispettorato del Lavoro perché, nel corso di un ‘blitz’ di due ispettrici nel suo laboratorio (era il 16 aprile), è emerso che nel raccoglitore del piano dei rischi mancava l’informazione stabilita dall’articolo 36 sulle lavoratrici in età fertile. In pratica l’unica dipendente donna, oltretutto figlia del titolare — e già mamma due volte —, non aveva sostenuto un corso di poche ore per essere informata dei rischi specifici per la sua età in caso di gravidanza». Così il quotidiano «La Provincia di Casalmaggiore Oglio Po» racconta un caso di eccesso (colposo?) di applicazione rigorosa della legge.

L’episodio, in sé, non è di interesse di questo blog. Certo, ci si può chiedere quanto potrà sopravvivere il nostro Paese a una produzione legislativa idiota nella drasticità delle sue previsioni, soprattutto se i controllori devono applicarla con indefettibile ottusità e senza temperarla con il buon senso (anche se poi qualche volta ci pensano i giudici a portare norme e applicazioni alla ragionevolezza; lo dimostra, per fare un esempio, una sentenza del giudice del lavoro di Ravenna, il quale, a proposito di altre questioni, ha scritto, a dire il vero con prosa piuttosto contorta: «l’ottusa severità nell’applicazione della normativa sanzionatoria rischia di rimanere sulla carta e si scontra da sempre con un diffuso tasso di ineffettività della sanzione…; molto più efficace risulta invece un equilibrato raccordo tra le norme, che sia in grado di instaurare un circolo virtuoso a livello applicativo che incentivi l’emersione e la regolarizzazione dei rapporti irregolari, anche attraverso tecniche normative premiali”). Ma si tratta di considerazioni solo indirettamente linguistiche.

L’episodio di Roncadello ha però un preciso, e imbarazzante, risvolto linguistico. L’artigiano ha scritto un’accorata lettera alla dirigente della Direzione Territoriale del Lavoro di Cremona, Silvana Catalano. Cosa ha scritto? Parole che tutti noi, persone normali, avremmo potuto scrivere: «Tutto questo mi ha sconvolto come cittadino italiano e come imprenditore, non mi vergogno di dirle che non dormo la notte per aver subito una tale ingiustizia (…). Sono intenzionato a chiudere la mia attività entro la fine dell’anno».

catalano.jpgLa dottoressa Catalano risponde. E questo le fa onore. Ma come risponde? Nel più fetido burocratese, e di questo dovrebbe vergognarsi, fino a diventare paonazza. E riesce anche a dimostrare un dominio precario della lingua italiana. Ecco cosa ha scritto: «In una situazione economica così difficile può accadere che l’azione di vigilanza venga reputata dal datore di lavoro inopinata e inutilmente punitiva. Ma legittime doglianze non possono divenire congetture o, ancor più, critiche inopinate al rigore sanzionatorio delle norme in materia di sicurezza del lavoro. A ciò chi scrive non può far fronte».

Posso capire tante cose: il codice di comportamento dei pubblici dipendenti non impone più di scrivere chiaro (ma magari la lettera è stata scritta prima del 19 giugno, e allora vigeva il codice precedente che questo obbligo lo imponeva); la dirigente, come ognuno può apprendere dal suo curriculum, è laureata in Giurisprudenza, una corso di laurea che diseduca i ventenni, distogliendoli, in maniera irreparabile, dall’uso di una lingua chiara perché semplice e comune; la dottoressa Catalano, infine, ha un passato da segretaria comunale che non l’ha certo aiutata a redimersi dalle brutte abitudini linguistiche contratte durante gli studi.

catalano-cremona.jpgMa alla violenza sull’italiano ci dovrebbe essere un limite. Il mio parere è che la dirigente questo limite l’abbia ampiamente superato. Evidentemente le piace l’aggettivo inopinato che usa per ben due volte nella sua lettera. Peccato che in entrambi i casi lo usi in modo sbagliato. Inopinato vuol dire ‘imprevisto, inatteso’ (basta controllare in un dizionario). Ma che senso ha, allora, ipotizzare che il datore di lavoro giudichi l’azione di vigilanza “inattesa”, o che le critiche al comportamento dell’Ispettorato del lavoro siano “impreviste”? Chi non conosce il valore di una parola, dovrebbe astenersi dall’usarla e ricorrere a qualcosa che gli è più familiare. Così come è scritto, il pensiero della dirigente risulta irrimediabilmente incomprensibile (ma forse, voleva dire infondate?). E poi, a cosa non può far fronte «chi scrive» (cioè, ovviamente, la stessa dott. Catalano)? Alle legittime doglianze? Alle critiche inopinate? Io, proprio non riesco a capire cosa possa essere l’antecedente di ciò (cioè, per spiegare il nostro lessico tecnico di linguisti, la parola, o le parole, a cui fa riferimento il pronome ciò). Anche in questo passaggio, il testo non è per nulla chiaro e resiste anche al più serio tentativo di interpretazione.

Passando, poi, dall’incomprensibilità ai difetti stilistici, la dottoressa avrebbe fatto meglio a lasciare ai testi in cui ha studiato le doglianze e a usare il più comune lamentele. E non era proprio possibile evitare  quell’orribile aggettivo sanzionatorio (che abbiamo trovato anche nella sentenza del giudice di Ravenna: altra parola che piace proprio tanto a burocrati e giuristi)? Se avesse usato un giro di parole più largo e disteso la firmataria della lettera sarebbe apparsa umana e non un semplice ingranaggio della mal funzionante macchina amministrativa italiana.

La questione fondamentale è proprio questa. L’artigiano ha scritto una lettera umanissima. La Repubblica, rappresentata dalla dirigente dell’Ispettorato del lavoro di Cremona, ha risposto con una prosa inumana. Qualsiasi sia il codice di comportamento vigente al momento della stesura della lettera, credo che la dott. Catalano sia riuscita a fare contemporaneamente un gravissimo torto all’uomo che le aveva scritto con il cuore e un pessimo servizio alla lingua italiana, che è la lingua ufficiale della Repubblica (legge n. 482 del 15 dicembre 1999 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, art. 1).

L’Ispettorato del lavoro di Cremona si adegua immediatamente al nuovo Codice del pubblico dipendenteultima modifica: 2013-06-24T09:00:00+02:00da cortmic
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