Formazione sociale specifica

severgnini «Approdando in commissione al Senato, le unioni civili tra persone dello stesso sesso sono diventate “formazioni sociali specifiche”, un termine grottesco e irritante. La prova che la politica italiana, quando non trova il coraggio, si nasconde dietro le parole»: così Beppe Severgnini ha commentato, il 3 settembre scorso, nel sito del «Corriere della sera» (e nel giornale dello stesso giorno), la nuova versione del primo articolo della legge sulle unioni civili, in discussione preliminare alla Commissione Giustizia del Senato.

ffs1Dello stesso tenore l’articolo di «Giornalettismo»: «Le unioni civili diventano “formazione sociale specifica”. Questo il cambiamento votato a maggioranza dalla Commissione Giustizia del Senato. Le unioni civili tra persone dello stesso sesso si chiameranno quindi così». Usano il sarcasmo o l’ironia Matteo Winkler nel «Fatto quotidiano», che parla di «tecnicismi da scaffale di supermercato» e Dario Ferri, in «Next quotidiano», che volge già lo sguardo al futuro, immaginando che le formazioni sociali specifiche si potranno abbreviare facilmente «come FSS, e nessuno capisce cosa vogliano significare, come per i DICO, i PACS e le altre “specificità” della politica italiana».

C’ero cascato anch’io, e avevo visto in questa definizione una prova del ritorno al politichese, il linguaggio della vecchia politica, quella della prima repubblica, che nascondeva dietro formule vaghe e frutto di compromesso le forti differenze di opinione tra i partiti che facevano parte delle coalizioni di governo.

sen_repInvece non è così. Basta vedere, nel sito del Senato della Repubblica, il resoconto sommario della seduta della Commissione Giustizia, che sta istruendo la discussione sulla legge sulle unioni civili. Nella seduta del 2 settembre è stata approvata una nuova versione dell’art. 1: «(Finalità). – 1. Le disposizioni del presente Titolo istituiscono l’unione civile tra persone dello stesso sesso quale specifica formazione sociale». Formazione sociale specifica non è il nuovo nome delle unioni civili tra omosessuali, ma una parte della sua definizione, la sua classificazione all’interno delle forme possibili di strutturazione della società.

La definizione discende direttamente dalla Costituzione, il cui art. 2 recita «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Possiamo discutere sulla qualità e l’efficacia della definizione, che estrae dal suo contesto la formulazione generica formazione sociale, le affianca la precisazione specifica, che poco o nulla aggiunge al significato dell’espressione, e ne fa un sintagma bloccato che, come si è visto, può erroneamente essere interpretato come denominazione autonoma.

formazione_socialeResta il fatto, comunque, che non è stato cambiato il nome dell’istituto che la legge vuole regolare, ma è stata apportata una modifica di sostanza della proposta iniziale, che considerava le unioni civili come istituto giuridico ordinario. Con la nuova definizione, le unioni civili, che continuano a essere chiamate così, vengono collegate all’art. 2 della Costituzione, e non più all’art. 29, quello che tratta della famiglia. Ognuno, secondo la propria visione della società, può appoggiare o contrastare questa posizione, ma per il merito più che per la forma espressiva.

Non siamo, propriamente, di fronte a un’espressione del neopolitichese che, a mio parere, si sta diffondendo nell’attuale politica. Del vecchio politichese il neopolitichese ha le caratteristiche di fondo, quello di usare denominazioni nebulose e vaghe che confondono il contenuto delle norme, ma al tempo stesso garantiscono una condivisione di facciata da parte di gruppi politici portatori di valori diversi. A cambiare sono, però, le forme lessicali usate, che ormai fanno tesoro delle tecniche comunicative del marketing e della pubblicità: sono forme affascinanti per il forte potere attrattivo. Basti pensare al nome con il quale è nota la legge di riforma della scuola, la legge 13 luglio 2015, n. 107, «Riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione e delega per il riordino delle disposizioni legislative vigenti»: la «Buona scuola», nome attraente ma semplificante (o attraente proprio perché semplificante); oppure a jobs act, nome ufficioso, ma molto diffuso, della legge sul mercato del lavoro (Legge 10 Dicembre 2014 n. 183, «Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell’attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro»). L’espressione jobs act è certamente più facilmente utilizzabile del nome ufficiale della legge, più completo, ma certamente farraginoso e barocco. Al tempo stesso, jobs act è un esempio stepchildemblematico di un processo sempre più diffuso in politica, quello di indicare con un nome inglese concetti che possono risultare sgradevoli, o che possono suscitare timori o provocare dissensi: spending review, quantitative easing, whistleblower, voluntary disclosure, foreign fighters, spread, gender, stepchild adoption.

Con quest’ultima espressione, torniamo al tema da cui avevamo iniziato, e cioè le forme di riconoscimento delle coppie omosessuali e delle questioni spinose che vi si accompagnano, come, ricorda Beppe Severgnini nell’articolo citato in apertura,  «l’adozione dei figli dei partner da parte di coppie dello stesso sesso (per complicare ulteriormente le cose è in uso il termine inglese, stepchild adoption)».

Formazione sociale specificaultima modifica: 2015-09-06T11:32:05+02:00da cortmic
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Un pensiero su “Formazione sociale specifica

  1. Non mi pare che “formazioni sociali specifiche” possa definirsi un “termine”, ossia una parola, ma piuttosto un’espressione, una locuzione, un sintagma, secondo il registro linguistico che si intende usare.

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