Elogio linguistico della Costituzione

lid-o-2009«LId’O. Lingua italiana d’oggi», che esce annualmente, per le cure di Massimo Arcangeli, a Roma da Bulzoni, ha dedicato nel 2009 un dossier sulla lingua della Costituzione attualmente in vigore, con tre interventi: uno di Tullio De Mauro, uno di Fabio Ruggiano e uno mio (Un elogio linguistico, «LId’O. Lingua italiana d’oggi» VI, 2009, pp. 43-52).

Ripubblico il mio in questo blog, capitolo per capitolo (con qualche modifica di poco conto), nell’illusione di fare cosa utile a chi sta cercando dati per farsi un’opinione in vista del prossimo referendum sulla riforma costituzionale.

Il blog «Parole» si è già occupato due volte del linguaggio della Costituzione, quella presente e quella futura: una prima volta, nel dicembre 2015, con il post L’Assemblea costituente e il congiuntivo, una seconda volta, il 25 aprile 2016, con il post Maria Elena Boschi non è Concetto Marchesi.

Cominciamo oggi con i primi due paragrafi.

Un modello esemplare

cdtNel 1993 la redazione del «Corriere del Ticino» ha attribuito a un mio articolo il titolo che riutilizzo in questo contributo, perché rappresenta bene l’atteggiamento che un linguista, impegnato nell’analisi di testi burocratici e normativi, ma anche nel promuovere una riforma della scrittura burocratica e normativa, ha davanti al testo della Costituzione della Repubblica italiana: un atteggiamento di ammirazione di fronte al carattere esemplare della lingua usata dai padri costituenti nel redigere il testo fondamentale della nostra Repubblica. Un’esemplarità che non è riuscita a costituire un modello per i legislatori successivi, anche quando hanno agito sul testo stesso della Costituzione; ma un esempio concreto della possibilità, se si vuole, di scrivere testi anche densi e complessi utilizzando un lessico comprensibile, ma al tempo stesso tecnicamente assai preciso, e una sintassi lineare e priva di eccessiva complessità.

brunettaQualcuno non condivide questo apprezzamento; l’ex Ministro per la Pubblica amministrazione e l’Innovazione, Renato Brunetta, ritiene che stabilire che “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”, come recita l’art. 1 della Costituzione, «non significhi assolutamente nulla» (l’ha dichiarato al quotidiano «Libero» all’inizio del 2010); ma si tratta di pareri isolati.

Alcuni studi hanno, invece, documentato, con la concretezza dei dati, il giudizio elogiativo generale che possiamo tributare al testo della nostra Costituzione: da una parte Deon (1998) ha indagato, anche sulla base degli atti dell’Assemblea costituente, il processo di scrittura collettiva che ha portato al prodotto che ora leggiamo; a sua volta Cignetti (2005) ci ha fornito una dettagliata analisi di quel prodotto. Con il conforto di questi e degli altri saggi citati in bibliografia, possiamo proporre una sintesi che dia ragione del giudizio generale sopra enunciato.

Brugnoli (2006), sulla scorta di Prieto de Pedro, ha ricordato quali sono le caratteristiche linguistiche e testuali della lingua dei testi costituzionali: l’alto grado di astrattezza e di concisione degli enunciati, la grande coerenza dello sviluppo concettuale, la densità semantica dei concetti, e delle parole che li rappresentano, e anche un uso abbondante di figure retoriche, in particolare le metafore, che fa da contraltare a un ricorso parco alle definizioni, oltre che alle descrizioni. Con una netta riserva circa l’uso delle metafore, possiamo concordare che questi sono i tratti costitutivi anche del testo della Costituzione della Repubblica italiana; proprio nella capacità di aver conciliato concisione, densità, astrattezza con linearità sintattica e relativa semplicità del lessico sta il merito dei padri costituenti.

Un esempio di buon drafting

La Costituzione sembra quasi essere un’applicazione ante litteram dei manuali di redazione dei testi legislativi (drafting con un anglicismo che possiamo anche evitare) che negli ultimi anni si sono succeduti, in Italia e non solo, per cercare di porre rimedio alla disastrosa qualità testuale delle leggi che Parlamento e Assemblee regionali producono nel nostro tempo.

suggerimentiPer quanto possa parere anacronistico (e difatti è una sorta di hysteron proteron), possiamo verificare, grazie anche alle analisi già prodotte, il rispetto da parte dei padri costituenti dei principi per la redazione di un buon testo legislativo. Utilizziamo come riferimento il manuale più recente: Regole e suggerimenti (2007).

Pienamente rispettati sono i principi di formulare periodi brevi e chiari,  di usare frasi semplici o frasi complesse con un numero contenuto di proposizioni subordinate, di far precedere (“preferibilmente”) la frase principale rispetto alle proposizioni subordinate: «i periodi della Costituzione sono mediamente brevi, spesso monoproposizionali e, quando la frase è complessa, la relazione tra le proposizioni è tendenzialmente di tipo paratattico» (Cignetti 2005: 89) e «in ogni caso, il livello di subordinazione nei periodi supera raramente il primo grado» (Cignetti 2005: 90). Si tratta di un impianto sintattico che va decisamente in controtendenza rispetto alle consuetudini dei testi normativi, nei quali la lunghezza delle frasi non è solo una scelta stilistica, ma è una necessità funzionale «dovuta alla necessità di inserire in essi il massimo numero di elementi, in modo da lasciare il minore spazio possibile a lacune di informazioni o all’insorgere di casi di ambiguità» (Gotti 1991: 148). Inoltre, è molto raro che una proposizione secondaria preceda la principale: ne ho contato solo 7 casi (art. 21, 63, 74, 77, 85, 98, 136), tutti con proposizioni introdotte da se o quando (per es. all’art 136: «Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di un atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione»). Caratteristica del testo è pure l’assenza di incisi, che non solo comporta linearità sintattica e migliore leggibilità, ma anche garantisce l’univocità e l’esplicitezza del contenuto nozionale: «le parentesi creano uno sdoppiamento del piano enunciativo che inevitabilmente produce anche una complicazione del testo» (Cignetti 2005: 121).

imagesÈ garantita la concisione e l’essenzialità nella stesura del principio normativo. In particolare, rispetto a molte delle leggi ordinarie, soprattutto recenti, mancano elementi lessicali che si presentano come ridondanti rispetto alla norma o al principio enunciati. È stata perseguita l’uniformità nell’uso dei modi e dei tempi verbali, preferendo generalmente l’indicativo presente, anche con valore prescrittivo (art. 32: «La Repubblica […] garantisce cure gratuite agli indigenti») o  costitutivo (art. 10: «l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute»; cfr. Brugnoli 2006: 21). Il futuro, deittico, si trova solo nelle Disposizioni transitorie e finali (Mortara Garavelli 2001: 111; qui, a p. 109, si trovano anche annotazioni sull’uso anaforico dei tempi verbali, specificamente perfetto del congiuntivo e presente, in proposizioni secondarie). Limitato l’uso del congiuntivo: si trova in 26 casi (circa un congiuntivo ogni 5 articoli), per lo più in contesti nei quali l’uso di quel modo è obbligatorio (ad es. perché richiesto dalla congiunzione che introduce la secondaria: purché, ove, finché, perché finale, sempreché, o nelle relative che indicano un requisito o una limitazione). Raro è anche l’uso del gerundio, molto utilizzato, invece, nel linguaggio amministrativo e legislativo odierno (nella Costituzione si incontrano solo 10 gerundi): la subordinazione, per quanto, come si è detto, poco diffusa, si realizza, quindi, soprattutto attraverso proposizioni esplicite, nelle quali, grazie anche a un uso appropriato e diversificato delle congiunzioni, risulta in genere univoco il rapporto logico che lega le proposizioni alla loro frase matrice. Cignetti (2005: 107-115) ha individuato sia le relazioni logiche, e quindi i nessi sintattici, prevalenti (relazioni condizionali, di gran lunga le più frequenti, con se, quando, ove, prevalentemente con il congiuntivo; finali, con perché e affinché; concessive, con purché, anche se; aggiuntive o contrastive, con o ed e, a volte preceduto dalla virgola), sia le relazioni logiche assenti (relazioni causali e consecutive, oltre a relazioni valutative, come aveva già notato, in generale per i testi di legge, Mortara Garavelli 2001: 121, che segnala anche la mancanza di connettivi testuali).

Notevole è l’attenzione per la strutturazione del testo, che denota una sistematica cura per la pianificazione testuale (oltre alla sua verifica, ed eventuale modifica, in corso d’opera). La rappresentazione della struttura del testo proposta da Cignetti (2005: 95) e le successive osservazioni sul principio gerarchico che regola lo sviluppo tematico della Costituzione confermano anche in questo caso, con la concretezza dei dati, le valutazioni generali proposte.

dovereSul piano sintattico non trovano, invece, riscontro nella carta costituzionale tre norme molto diffuse nei recenti manuali di redazione di testi normativi (e amministrativi): gli inviti a evitare verbi modali, in particolare il verbo dovere (che compare in 16 casi a marcare l’inderogabilità di alcune norme, soprattutto nel campo dei diritti della persona), costruzioni passive e frasi negative.

costituzioneSul piano lessicale, gli autori della Costituzione hanno cercato di far ricorso il più possibile al vocabolario di base della lingua italiana. Il testo è composto per il 91,55% della sua estensione da parole del lessico comune (la percentuale che deriva dalle mie rilevazioni è diversa, per qualche decimale, dal dato offerto da Cignetti 2005; ma quel che conta è il confronto con altri testi giuridici, come il Codice civile, in un campione del quale lo stesso Cignetti ha riscontrato una percentuale ben più ridotta – l’82% – di parole appartenenti al vocabolario di base). Questo indica, tra l’altro, che  le parole strettamente tecniche sono ridotte al minimo indispensabile; non si va molto al di là di termini come estradizione, impugnazione, ratifica, provvedimenti giurisdizionali, organi giurisdizionali distribuite comunque in un tessuto costituito da una base lessicale di dominio comune.

Certamente, l’uso di parole del vocabolario di base non significa che tali parole siano prive della complessità concettuale connaturata a un testo giuridico, e in modo particolare a un testo costituzionale. Ne sono un esempio parole come Repubblica e Stato, appartenenti entrambe al cosiddetto vocabolario fondamentale, quello costituito dalle parole più frequenti nella nostra lingua. Nonostante la diffusa conoscenza di queste parole, solo lettori esperti possono rendersi conto che nella Costituzione vi è una netta distinzione tra i due termini, in quanto Stato è solo una parte della Repubblica (quest’ultimo termine designa l’insieme di tutte le attività e funzioni sia dello Stato come tale sia delle Regioni e degli altri enti pubblici); tuttavia, la comprensione dei principi su cui si fonda la Repubblica Italiana è ugualmente garantita dalla conoscenza comune della lingua italiana ed è solo parzialmente menomata dalla disattenzione per distinzioni come questa. Comprensibilità generale e precisione tecnico-giuridica possono, in questo modo, coesistere.

Elogio linguistico della Costituzioneultima modifica: 2016-08-07T18:55:40+02:00da cortmic
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