Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina

Ordonnance_de_Villers_Cotterets«Una lingua è un dialetto con un esercito e una marina» (con la variante «Una lingua è un dialetto con un esercito e una bandiera») è un’affermazione icastica, del tutto falsa nel suo valore letterale, che indica, però, una grande verità: la distinzione tra lingua e dialetto non è una distinzione che ha a che fare con le caratteristiche interne di una lingua (la fonetica, la grammatica, il lessico, e neppure la distanza strutturale che c’è tra quella che viene definita lingua e quelli che vengono definiti dialetti), bensì con le caratteristiche della comunità che la parla, e in particolare con la sua volontà e la sua capacità di trasformare in realtà politica un sentimento identitario che si esprime attraverso la lingua.

Ne consegue che non potranno essere i linguisti a definire, se non a posteriori, quali, tra le migliaia di sistemi linguistici in uso nel nostro pianeta, sono lingue e quali sono dialetti. Potranno osservare le dinamiche socio-politiche che si sviluppano nel corso della storia e trarre da ciò le loro definizioni. Per esempio, a chi mi chiede se il veneto è guuna lingua o un dialetto, o se lo è il friulano, io non posso far altro che rispondere facendo riferimento alla legge 15 dicembre 1999, n. 482, “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 297 del 20 dicembre 1999), che all’art. 2 stabilisce che «in attuazione dell’articolo 6 della Costituzione e in armonia con i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, la Repubblica tutela la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo».

nordestPoi, potrò osservare che il dettato legislativo nazionale non ha piena attuazione nella legislazione regionale. Così, mentre la Regione Veneto parla espressamente di «lingua veneta» (all’art. 2 della Legge regionale 13 aprile 2007, n. 8, “Tutela, valorizzazione e promozione del patrimonio linguistico e culturale veneto”), la Regione Friuli Venezia-Giulia dedica ai dialetti veneti parlati nel suo territorio una legge in cui essi sono, per l’appunto, definiti dialetti, in opposizione, s’intende, al friulano, che può fregiarsi dell’appellativo di lingua  (Legge regionale 17 febbraio 2010, n. 5, “Valorizzazione dei dialetti di origine veneta parlati nella regione Friuli Venezia Giulia”). Possiamo individuare in questa situazione un’espressione dello sciovinismo che spesso le minoranze riconosciute dimostrano nei confronti di altri gruppi minoritari meno tutelati, che a volte assomiglia proprio a una forma di bullismo; ma dal punto di vista dell’attuale configurazione giuridica delle lingue parlate in Italia i friulani hanno assolutamente ragione.

Questo esempio ci mostra quanto fallace sia, se propendiamo per un’interpretazione letterale, la frase che correla le lingue al possesso, da parte della comunità linguistica che la parla, di un esercito, di una marina e di una bandiera. Ma realtà recenti, come quelle degli stati nati dalla frantumazione della Jugoslavia, mostrano come ci possa comunque essere una stretta connessione tra bandiera e lingua, se è vero che quello che una volta era chiamato sserbo_e_croatoerbo-croato, ed era parlato in quattro delle sei repubbliche che costituivano la federazione jugoslava, adesso è suddiviso in lingua serba, lingua croata, lingua bosniaca, lingua montenegrina, e il problema si può porre nei termini in cui l’ha posto Jelena Milović dell’Università di Bari, in un articolo intitolato Croato, serbo, montenegrino e bosniaco. Quattro lingue o una lingua con quattro nomi?. Viceversa, Svizzera, Belgio, Canada (e molti altri stati) hanno ognuno un esercito e una bandiera, ma hanno più lingue (il che dovrebbe, quanto meno, rendere meno netta la formulazione della frase da cui siamo partiti)

Ma chi ha inventato, o quanto meno chi ha usato per primo questa definizione delle lingue rispetto ai dialetti? Negli studi, in quelli seri e in quelli meno seri, ho trovato molte attribuzioni: Antoine Meillet, Hubert Lyautey, Max Weinreich, Uriel Weinreich, Joshua Fishman, Michael Alexander Kirkwood Halliday, Noam Chomsky. L’ha attribuita a quest’ultimo, pochi giorni fa, Diego Marani, in un articolo sul sito della Treccani. Non si sono fatte attendere le reazioni nei social network (se cliccate sull’immagine, riuscite a leggere agevolmente quello che è stato scritto):

treccanie in rete, con Apollonio Discolo (alias Nunzio La Fauci) che ha dedicato all’anedotto un post:

In un intervento in rete per altri versi apocalittico (o, quanto all’evocata morte del pensiero, solo bene informato?), ieri lo si è visto per allusione genericamente attribuito a Noam Chomsky da Diego Marani: “Non dimentichiamo infatti che i dialetti sono lingue, come diceva Chomsky, con l’unica differenza che non hanno un esercito”.
A Chomsky forse perché, come Aristotele nel Medioevo era il Filosofo, Chomsky è oggi il Linguista, per antonomasia, e se c’è un’affermazione che riguarda la lingua, in un modo o in un altro deve essere sua.
Delizioso, peraltro, l’imperfetto diceva: il linguista del MIT non sarà certamente superstizioso, ma alla luce di una così generosa (per quanto indebita) attribuzione, consigliabile gli sarebbe di certo qualche scongiuro.

Nella sostanza, La Fauci ha perfettamente ragione. Nei dettagli, però, le cose sono un po’ più complesse. Chomsky ha citato più volte la frase oggetto di questo post. Una prima volta, per quel che ho potuto ricostruire, nel 1984, in Modular Approaches to the Study of the Mind (San Diego State University Press, p. 42), presentandola come una conoscenza che si apprende con i primi rudimenti della linguistica: «There’s an old gag everybody learns in the first term of an elementary linguistics course which says that a language is a dialect with an army and a navy». Poi, languages_in_contactin maniera più precisa, attribuendone la paternità a Max Weinreich (studioso di yiddish, padre del più famoso Uriel, l’autore di Languages in contact, pubblicato nel 1953 tradotto in italiano nel 1974): l’ha fatto nel 1986, in Knowledge of Language. Its Nature, Origin, and Use, New York, Praeger, p. 15 (ringrazio Marco Petolicchio per la segnalazione) e, più recentemente, in New horizons in the study of language and mind (Cambridge, Cambridge University Press, 2000), p. 31: «A standard remark in an undergraduate linguistics course is Max Weinrich’s quip that a language is a dialect with an army and a navy, but dialects are also nonlinguistic notions, which can be set up one way on another, depending on particular interests and concerns».

In effetti, la prima attestazione scritta di questa frase è di Max Weinreich ed è in yiddish (suona così: «A shprakh iz a dialekt mit an armey un a flot»): è apparsa nell’articolo  Der YIVO un di problemen fun undzer tsayt (“L’YIVO e i problemi del nostro tempo”, dove YIVO indica Yiddish Scientific Institute, poi divenuto Institute for Jewish Research) pubblicato nella rivista “YIVO Bleter” del gennaio-febbraio 1945.

navyIn un altro numero della stessa rivista, Weinreich rivela la fonte di questa frase, raccontando che una volta a una sua lezione assistette un professore ebreo che insegnava in una scuola superiore del Bronx. Era arrivato in America da bambino, e non aveva mai sentito dire che la lingua yiddish avesse una storia e che potesse servire anche per scopi elevati. Una volta, domandò a Weinreich: “qual è la differenza tra un dialetto ed una lingua?” Weinreich iniziò a rispondere, ma il professore di liceo lo interruppe: “Tutte queste cose le so già, ma io le darò una definizione migliore. Una lingua è un dialetto con un esercito e una flotta”. Da quel momento Max Weinreich  si ripromise di diffondere questa formulazione a un pubblico vasto.

Questo è quello che risulta documentato. Poi, può essere benissimo che quel professore avesse riferito a Weinreich una frase pronunciata da Antoine Meillet o da Hubert Lyautey (come vorrebbe Jean Laponce, che in La gouvernance linguistique: le Canada en perspective, a cura di Jean-Pierre Wallot, Ottawa, Presses de l’Université d’Ottawa, 2005, vorrebbe addirittura chiamare questa massima «Loi de Lyautey», «Legge di Lyautey»). Ma di questi o altri precedenti non abbiamo traccia. E quindi, salvo nuove scoperte, la prima attestazione della frase «una lingua è un dialetto con un esercito e una marina» resta quella dell’articolo di Max Weinreich.

Una lingua è un dialetto con un esercito e una marinaultima modifica: 2015-01-17T01:18:19+01:00da cortmic
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