Che lingua fa

nuovi_argomentiIl numero 73 (gennaio-marzo 2016) di «Nuovi Argomenti», curato da Giuseppe Antonelli, raccoglie saggi e pareri di linguisti, editor, traduttori, poeti e scrittori sullo stato attuale della lingua italiana, particolarmente in riferimento alla lingua della letteratura. Alcuni interventi (come, ad esempio, quello di Marco Cubeddu o il diario linguistico di Tullio De Mauro) sono già stati pubblicati in rete.

Da parte mia, riproduco qui le risposte che ho dato al questionario proposto da Giuseppe Antonelli a un certo numero di linguisti (Gian Luigi Beccaria, Ilaria Bonomi, Vittorio Coletti, Paolo D’Achille, Maurizio Dardano, Valeria Della Valle, Claudio Giovanardi, Rita Librandi, Nicoletta Maraschio, Claudio Marazzini, Luca Serianni, Pietro Trifone).

Esiste ancora una lingua letteraria?

architettura-italiano-antonelliDa studioso che si occupa solo marginalmente di lingua letteraria, faccio fatica a rispondere in maniera diretta a questa domanda. Lo faccio in maniera indiretta, pensando a qual è il posto della lingua letteraria (cioè, principalmente, la lingua della narrativa) nel repertorio dell’italiano. C’è un indizio emblematico: Giuseppe Antonelli, in un articolo del 2011, ha proposto una leggera rivisitazione del modello di repertorio dell’italiano proposto da Gaetano Berruto nel 1987. Berruto aveva ipotizzato l’esistenza di due forme di italiano standard: quello che aveva denominato, e la cosa ci interessa specificamente, “italiano standard letterario” e l’“italiano neostandard”. Antonelli, su questo punto, ha avanzato tre proposte di modifica: lo spostamento verso il polo aulico dell’italiano standard, la sua ridenominazione in “italiano standard scolastico”, l’aggiunta della precisazione “giornalistico” alla denominazione “italiano neostandard”.

La scomparsa della precisazione “letterario” potrebbe alludere alla fine dell’esistenza di una autonoma lingua letteraria. Io la interpreto, invece, come il riconoscimento che la lingua letteraria odierna esiste, ma ha rinunciato a discostarsi sensibilmente e volutamente da un italiano corrente (quello che magari definiamo italiano parlato) che si è rafforzato, parallelamente al diffondersi degli ambiti, anche personali e affettivi, nei quali l’italiano viene usato oggi, rispetto a un cinquantennio o poco più fa.

È un fenomeno che parte dal secondo dopoguerra. Da osservatore dell’evoluzione della norma nell’italiano degli ultimi decenni, mi ha sempre colpito, ma non stupito, che già negli anni Cinquanta l’uso di gli per loro, che immagino fosse molto diffuso nel parlato (ma per quegli anni non possiamo avere dati), fosse assai esteso, e anzi superasse l’uso tradizionale di loro, proprio nei testi letterari, e non nei testi giornalistici, come spontaneamente verrebbe da pensare. La letteratura recente è uno specchio molto fedele dell’evoluzione che sta subendo l’italiano, spesso contro i freni posti dalla tradizione, dalle regole interiorizzate dai parlanti durante la formazione scolastica, dalla scuola stessa. In questo, credo, sta la peculiarità che ci permette di parlare ancora di una lingua letteraria.

Qual è la questione linguistica centrale nell’Italia di oggi?

scrivere-in-italiano-280x399Secondo me, la questione linguistica centrale nell’Italia d’oggi è la ricerca di un modello condiviso di italiano scritto. Lo sforzo della comunità linguistica, nell’ultima fase di evoluzione dell’italiano, è stato quello di creare, quasi dal nulla, un italiano parlato capace di rispondere a tutti i bisogni comunicativi del parlante. Un tempo l’italiano serviva solo per trattare di cose astratte, mentre si usava il dialetto per le questioni legate alla vita personale dei parlanti, agli affetti, alla sopravvivenza quotidiana, ai mestieri basilari. Possiamo dire che il processo è stato realizzato e chiunque, in Italia, può oggi parlare in italiano di qualsiasi argomento e in modo differenziato e adeguato. Si tratta di un’evoluzione epocale, come si dice con un’iperbole diffusa. Ad essere rimasto senza una fisionomia precisa è lo scritto, per il quale non vale il modello tradizionale italiano, quello amplificatorio colpito dall’ “antichissimo cancro della retorica”, non vale il modello lessicalmente ed anche strutturalmente anglicizzante, ma povero e poco curato, dei nuovi riferimenti di prestigio, costituiti dall’economia e dalla tecnologia, non vale il modello, che oscilla tra una prospettiva retrospettiva di abbarbicamento all’antico e una diffusa sciatteria, dell’italiano amministrativo e giuridico. C’è chi parla della scrittura giornalistica, come modello a cui riferirsi (la scrittura giornalistica di un “buon articolo di giornale”): ma si tratta di un modello che si sta sgretolando giorno per giorno, come si sta sgretolando la professione stessa di giornalista, come è stata concepita fino ad ora, anche nelle sue certezze economiche e occupazionali. Io sono convinto che la questione fondamentale, oggi, sia il riconoscimento comune di un modello di lingua scritta nitida e curata, ma non aulica. Forse, anche oggi, il modello dei migliori scrittori rimane il modello più valido, proprio per la sua attuale vicinanza al parlato.

In che direzione evolverà l’italiano dei prossimi decenni?

sprachprognostikMi avvalgo della facoltà di non rispondere. La storia è troppo piena di previsioni dei linguisti, e più in generale degli intellettuali, che poi sono state smentite dall’evoluzione della lingua. Gli atteggiamenti dei parlanti sono mutevoli (si pensi alla reazione agli anglismi che sta iniziando a montare in questi anni, dopo decenni di totale disinteresse), le variabili in gioco numerosissime. No, proprio non so dire in che direzione evolverà l’italiano.

na

Che lingua faultima modifica: 2016-03-09T13:38:10+01:00da cortmic
Reposta per primo quest’articolo