La buona scuola e la cattiva scrittura

So di appartenere a una categoria da alcuni osannata, da altri osteggiata: quella delle persone che, anche nel web, si occupano della lingua italiana, ne osservano gli usi pubblici (sia quelli scorretti, sia quelli corretti), criticano le produzioni grammarnazilinguistiche più inappropriate, inadeguate o sbagliate. A volte veniamo ostracizzati con l’appellativo di grammar nazi. Però, se è stato coniato addirittura un appellativo, vuol dire che siamo in tanti.

Le critiche che ci vengono rivolte sono di due tipi. La prima proviene da chi non condivide il merito delle critiche, perché troppo permissive, o perché troppo puristiche, o perché brutte, o perché leziose. Potrei cavarmela dicendo che, come ogni italiano si sente commissario tecnico della nazionale di calcio, così ogni italiano si sente accademico dela Crusca. In realtà, la questione è più complessa, dal momento che le lingue non vengono regolate dagli esperti, ma dall’intera comunità linguistica, e ogni parlante, con la sua prospettiva soggettiva, contribuisce a formare la norma.

Il secondo tipo di critiche proviene da chi giudica ozioso discutere di forma linguistica, perché, tanto, l’informazione passa egualmente, anche in presenza di scorrettezze o inappropriatezze linguistiche; o perché ci sono cose ben più importanti da affrontare, cose che riguardano la sostanza delle cose e non il modo con cui vengono comunicate. Ma siamo sicuri che solo la sostanza sia importante, e la forma sia solo un di più? O la forma è il modo per dare concretezza alla sostanza, attribuendole chiarezza, credibilità, efficacia? Insomma, la forma non è anche sostanza?

Tutto questo, che certamente può essere oggetto di discussione e controversia, è ancora più valido quando si propugnano posizioni impopolari, controcorrente, estreme.

guandalini2Questo lungo preambolo, che si può applicare, però, a gran parte dei post di questo blog, per affrontare la critica a un articolo apparso su «Metronews» a firma di Maurizio Guandalini. L’articolo non mi è risultato chiarissimo, a dire il vero (certamente per mie carenze); ma il nucleo del ragionamento, ripreso anche nel titolo, è nel finale: «anche la discussione sul merito dei professori è all’acqua di rose perché sappiamo che l’unica formula sarebbe avere tutti  docenti a contratto. Non insegnanti a vita». Una tesi estrema, impopolare, controcorrente, e presentata con una certa protervia espressa da quel sappiamo: chi sono i «noi» che sanno che l’unica formula per migliorare la qualità dei docenti sarebbe il contratto a tempo determinato? E chi non lo sa è un ignorante? E chi non è d’accordo?

Proprio per tutto questo, il ragionamento di chi propone tesi inusuali dovrebbe essere impeccabile sia dal punto di vista logico, sia da quello della presentazione formale.  patotaInvece, come hanno notato in tanti, l’italiano di Guandalini è molto scadente. Lascio la parola a un mio stimatissimo collega, Geppi Patota (doppio collega: professore della mia stessa disciplina e grammar nazi): «linguisticamente, è un disastro. “non aspettava altro DI parlare”, “montare l’esercito scolastico di aspettative [?], “Vero che la scuola della maggiore età è altra ‘roba’ rispetto al traguardo della maturità”: che significa?, “Vero anche che la scuola dell’analfabetismo non è la scuola degli anni Settanta, e men che meno quella di oggi”: che significa? “Sulle ore CHE si sta a scuola”: Guandalini, Guandalini…».

Di mio aggiungerò qualcos’altro. Non ho proprio capito il senso della frase «Il niet risultato è stato montare, di aspettative, l’esercito scolastico»; non ho capito neppure la funzione grammaticale delle parole usate (in particolare quella di niet,  e di riflesso di risultato); e al rilievo sintattico di Patota, potrei aggiungere una critica alla punteggiatura, piuttosto – diciamo così – creativa. Più in generale, posso fare mio il giudizio di altri commentatori dell’articolo di Guandalini: «Uhm, poveri gli studenti di un docente che riesce a scrivere un articolo così lungo senza dire nulla che sia né pars construens né pars destruens…»; e ancora «Quando ho cominciato a leggere il suo contributo, caro professore a contratto, mi sono detta che le critiche sono sempre utili come elemento costruttivo del dialogo, e dunque ero curiosa e ben disposta ad ascoltare e fare tesoro delle sue. Lei, purtroppo, è solo distruttivo e inconcludente, dunque la sua analisi, seppur legittima, non serve a niente». Segnalo a un altro commentatore che il Guandalini è economista e giornalista, come si autoqualifica, ma non professore universitario (ha solo avuto qualche docenza a contratto, mai, se ho letto bene il suo curriculum, in università pubbliche e in corsi di laurea triennali o magistrali).

Il mio collega Patota (lui sì professore universitario) l’ha presa con filosofia. La sua conclusione è questa:  «una cosa buona, però, la devo dire: leggere di prima mattina un articolo critico nei confronti della scuola scritto in un italiano del genere produce un effetto esilarante che mette di buon umore».

La mia reazione è meno lieve. Io mi sono molto irritato: prima di tutto per il contrasto, stridentissimo, tra la forza della tesi propugnata e la debolezza della lingua utilizzata. E poi per il fatto che Maurizio Guandalini non è un novellino, un giornalista magari rampante, ma alle prime armi. Leggo nella sua biografia che è «tra i più qualificati analisti indipendenti del sistema finanziario globale. Docente, organizzatore di eventi internazionali per la Fondazione ISTUD, giornalista. Ha scritto per l’Unità, è stato guandalini3opinionista per quotidiani e tv: da il Riformista al Maurizio Costanzo Show di Canale 5, a Omnibus de La7. Ha fondato insieme al professor Victor Uckmar la società che ha dato vita al quotidiano la Voce di Indro Montanelli. Dal 2005 è editorialista di Metro, il quotidiano della free press più letto al mondo. Ha scritto da saggista oltre 20 volumi. Con Uckmar ha curato per Rcs/Etas le diverse edizioni del Global Business. Per Mondadori nel 2009 il libro Green economy, Italia, successivamente Med-Golfo, la terra promessa del business, nel 2011 Green Italia e nel 2012 Green 3.0. Ha curato le edizioni italiane di Lo scenario prossimo globale di K. Ohmae, Fare affari in India di R. Kumar e A. K. Sethi, L’Islam e il mondo degli affari di L. Siagh».

OmeroSiamo proprio in uno strano paese, se una persona che dimostra di dominare così male la lingua riesce a produrre tutti questi libri. A meno che, in quest’ultima occasione in cui Patota, io e molti altri ci siamo imbattuti per la prima volta in Maurizio Guandalini, l’economista, giornalista, saggista stesse dormicchiando, come talvolta accadeva anche ad Omero.

La buona scuola e la cattiva scritturaultima modifica: 2015-03-07T18:07:20+01:00da cortmic
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