Giornalisti, per favore, basta tag cloud!

Il Post, la testata giornalistica on line diretta da Luca Sofri, ha pubblicato anche quest’anno la tag cloud del discorso di fine anno di Giorgio Napolitano: «i discorsi del presidente sono sempre molto “istituzionali” e quindi le parole più usate hanno spesso la solennità del caso: però è interessante vedere di anno in anno quelle che hanno prevalso, fino a ieri sera».

tag cloud post

Posso dire, senza mezzi termini, alla Paolo Villaggio, che si tratta di una cagata pazzesca e che i giornalisti dovrebbero smetterla di usare le tag cloud come se fossero un serio sistema di analisi dei testi?

Certo, se si tratta di épater le bourgeois, cioè se si tratta di meravigliare a buon mercato i lettori, allora va bene. Ma è buon giornalismo?

Certo, usa questo mezzuccio anche uno dei giornali italiani più autorevoli, il «Corriere della sera». Ma su questo mi sono già espresso.

Certo, la prima volta che una giornalista di «Repubblica», ormai molti anni fa, mi ha intervistato e mi ha chiesto dati che non avevo a disposizione, mi ha suggerito di improvvisare, «tanto, i lettori se la bevono». Giuro, mi ha detto così.

Però, non facciamo passare le tag cloud per una cosa seria. Sono un’ottima trovata grafica, un gradevole complemento iconografico per articoli e post, ma non si può trarre da esse alcuna conclusione seria. L’ho già dimostrato a proposito del discorso programmatico di Matteo Renzi e potrei facilmente ripetermi a proposito di Napolitano.

Porto solo due argomenti. Il primo: le tag cloud non hanno nulla di obiettivo, come dimostra il fatto che, dato uno stesso testo, possono prodursi tag cloud diverse. Il «Post» ha verosimilmente usato wordle per fare le sue tag cloud. L’ho usato anch’io. Ne sono usciti due risultati diversi, anche se molto simili (la nuvola del «Post» è quella rettangolare, la mia è quella ovoidale):

sinossi_nuvole

Analogo, ma non identico il risultato proposto dal «Corriere della sera»:

nuvola_corriereInvece, chi usa un altro servizio di costruzione di tag cloud (per es. tagul) ottiene un’immagine del discorso di Napolitano sensibilmente diversa:

nuvola_mia2In realtà, le parole «piene» più frequenti nel discorso di Napolitano sono: Italia (15 occorrenze), italiani (9), Stato (8), nazionale (7), politica (7), può (7). Lascio ai lettori giudicare se le tag cloud trasmettano bene questo dato di fatto e decidere quale delle tag cloud qui riprodotte rappresenti meglio questo dato di fatto.

Non dimentichiamo, poi, che se uniamo le forme flesse (cioè i singolari e i plurali, i maschili e i femminili, o le diverse forme dei verbi), Italia resta a quota 15, ma viene raggiunta dall’aggettivo possessivo nostro, italiano sale a quota 10, come stato (ma una cosa è il nostro Stato, altra cosa gli Stati Uniti e gli stati islamici), la frequenza di nazionale ha un incremento di una sola unità, mentre alle 7 occorrenze di politica si aggiungono le 6 di politiche (ma anche qui, singolare e plurale attivano accezioni diverse del nome) e i 7 può diventano 17 occorrenze del verbo potere. Di tutto questo le tag cloud non possono tener conto.

Ma c’è anche un altro fatto di cui le tag cloud non possono tener conto: quanto di quel che appare dalle affascinanti nuvole è davvero significativo, e cosa invece è consueto nei discorsi di fine anno dei presidenti della Repubblica, di tutti i presidenti della Repubblica? Non sono in grado di fare, oggi, questa analisi per il nono discorso di Napolitano. Ma, assieme ad Arjuna Tuzzi, avevo analizzato, subito dopo che era stato pronunciato, il discorso del 2006 e il «Corriere della sera» ne aveva dato conto.

Avevamo esaminato, soprattutto, le parole usate esclusivamente d Napolitano e quelle che nel discorso del 2006 risultavano specifiche del nuovo presidente, in quanto avevano una frequenza particolare rispetto ai predecessori. Le parole più interessanti erano risultate essere sintonia, pazientemente, coesione (soprattutto nella sequenza coesione sociale e civile), condiviso: questo nucleo di parole rappresentava al meglio il fulcro del primo discorso di fine anno di Giorgio Napolitano (e anche quello del discorso di insediamento); poi femminile (in particolare nell’espressione energie femminili), in nero, occupato, salario, associazionismo (laico e religioso), disgregazione, delirio (di violenza), degrado, malavita.

Questa è la tag cloud del discorso del 2006:

napolitano-2006Ammettendo che l’analisi di A. Tuzzi e mia sia fondata, da questa tag cloud cosa emerge della specificità del primo discorso di fine d’anno di Giorgio Napolitano? Praticamente nulla, perché le tag cloud, per loro natura, riescono a rappresentare il senso di un discorso solo in maniera molto rozza. Per questo, non sono per nulla utili per sintetizzare in maniera sensata il contenuto reale di un discorso, le sue particolarità, le sue novità.

Allora, giornalisti innamorati delle tag cloud, spiegatemi: non sapete queste cose, e siete ammaliati, come bambini ingenui, dal giocattolino rappresentato dalle nuvole di parole? Oppure conoscete i limiti, enormi, di questo strumento di rappresentazione grafica di un testo, ma non ve ne preoccupate, perché «tanto, i lettori se la bevono»?

Giornalisti, per favore, basta tag cloud!ultima modifica: 2015-01-03T08:46:44+01:00da cortmic
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Un pensiero su “Giornalisti, per favore, basta tag cloud!

  1. Aggiungo anche che i media italiani non hanno mai saputo cogliere la distinzione che viene fatta in inglese tra due concetti diversi.

    In inglese tag cloud è la rappresentazione grafica dei tag più usati in un sito, parole chiave assegnate in base a criteri specifici. Una tag clould di solito è interattiva: ogni tag è anche un link che consente di accedere a tutto il contenuto associato a quello specifico tag.

    La rappresentazione grafica statica ottenuta con strumenti come Wordle in inglese si chiama invece word cloud.

    In italiano ormai tag cloud viene usato come iperonimo per entrambi concetti.

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